La vegetariana – Han Kang #hankang

«Io non lo sapevo. Pensavo che gli alberi stessero a testa in su… L’ho scoperto solo adesso. In realtà stanno con entrambe le braccia nella terra, tutti quanti. Guarda, guarda là, non sei sorpresa?» Yeong-hye era balzata in piedi e aveva indicato la finestra. «Tutti quanti, stanno tutti a testa in giù.» Era scoppiata in una risata incontenibile, e a In-hye erano tornati in mente alcuni momenti della loro infanzia in cui la faccia della sorella aveva esattamente la stesa espressione. Momenti in cui i suoi occhi dalla palpebra singola si restringevano e diventavano completamente neri, e dalla sua bocca prorompeva quella sua risata innocente. «Sai come l’ho scoperto? Be’, ho fatto un sogno, e stavo sulla testa… Sul mio corpo crescevano le foglie, e dalle mani mi spuntavano le radici… E così affondavo nella terra. Sempre di più… Volevo che tra le gambe mi sbocciassero dei fiori, così le allargavo; le divaricavo completamente…» Sgomenta, In-hye aveva guardato gli occhi esaltati della sorella. «Devo dare acqua al mio corpo. Non ho bisogno di questo genere di cibo, sorella. Ho bisogno di acqua.»

Parte prima: la vegetariana.
Yeong-hye fa un sogno, che macchia di sangue la sua vita, un senso di panico, ansia, come un peso che le impedisce di respirare, al centro del petto. Il marito ci racconta la sua metamorfosi, la sua scelta: diventare vegetariana e allontanare il sogno, liberarsi del peso. Yeong-hye è solo descritta da altri, da altre infinte prospettive che rendono difficile, misterioso, coglierne le reali ragioni. Il marito la critica, non la capisce, la disdegna, ma per lei, lui “puzza di carne”.

Parte seconda: la macchia mongolica. Il cognato videoartista semifallito prova a offrire alla vegetariana una finta salvezza: quella di posare nuda per lui mentre il suo corpo si colorerà di motivi floreali. Ma anziché regredire, la metamorfosi giungerà alla svolta finale: il corpo dipinto inizierà a identificarsi con ciò che il cognato artista aveva rappresentato e l’immagine, il simulacro, l’icona si farà sostanza. Yeong-Hye inizierà a sentirsi e a comportarsi come un vegetale.

Parte terza: fiamme verdi
Parla la sorella di Yeong-hye, torturata dal pensiero dell’incomprensione verso la sorella. Eppure nell’amore disinteressato della donna per la sorella malata si trovano calore e comprensione, che non possono venire dal mondo vegetale, una scintilla nel mondo che per il resto è un posto inquietante, rosso, con il sangue che sgocciola ovunque, come una grande macelleria.


Me lo ha regalato un’amica per Natale per il titolo, e per le mie note scelte di vita. Evidentemente non lo ha letto. Se lo avesse fatto avrebbe sicuramente evitato… in primis perché la vegetariana protagonista viene internata in un ospedale psichiatrico e non credo stesse mandandomi un messaggio subliminale. In seconda battuta è veramente un testo nonsense. Ho solo apprezzato una parte di grande sensualità per nulla volgare a metà libro. Per il resto rimango molto perplessa.

francesca ogana

Risvolto

«Ho fatto un sogno» dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l’ideale di un’estatica dissoluzione nell’indifferenza vegetale. La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell’ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.

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Quartetto – Jean Rhys #JeanRhys @adelphiedizioni

quartetto

Ho letto Quartetto, un romanzo di Jean Rhys, e ora mi piacerebbe parlarne con qualcuno, si sa , sono piaceri squisiti, per questo, in mancanza di persone in carne ed ossa accanto a me, ne scrivo qui. Il romanzo in questione già nel risvolto di copertina si annuncia come un dramma: e io ho deciso di leggerlo, anche se in questo periodo il dramma mi è un po’ pesantuccio, anche per l’incipit della prima pagina: “Erano quasi le cinque di un pomeriggio di ottobre quando Marya…” che mi ha subito catturata.
Lo stile mi ha coinvolta, con le descrizioni accurate di natura e ambienti, che sollecitano l’immaginazione. La storia è terribile, Marya non ha la forza di lottare e sottrarsi alla miseria economica, sociale e morale in cui la fa sprofondare l’arresto del marito. Chi dice di volerla aiutare in realtà vuole solo usarla nel modo più ovvio. In una Parigi fumosa, piena di Bar e gente che vive di espedienti, si mescolano anche ricchi borghesi, bisognosi di emozioni. L’Autrice racconta un’esperienza da lei vissuta: per questo il brusco finale può essere interpretato come il desiderio di liberarsi da un passato “indigesto”. Bene, mi è piaciuto.

DESCRIZIONE

Marya, giovane inglese sposata con il polacco Stephan, si sente, per la prima volta nella sua vita, «molto vicina a essere felice». Ed ecco che, da un giorno all’al­tro, il marito finisce in galera lasciandola senza un soldo né un amico al mondo. L’agognata felicità assume allora per un istante le sembianze di Heidler, facoltoso mercante d’arte, che però la trascina – sotto gli occhi compiacenti e maligni del­la moglie – in una lunga, torpida osses­sione. Sullo sfondo di una Parigi mai così crudele, in una Rive Gauche ingan­nevol­mente romantica e mondana, Marya finisce per trovarsi avviluppata in un tor­mentoso ménage à trois; e quando, con un palpito di disperata onestà, prova a lacerare il velo delle apparenze, com­prende che in quell’irrespirabile bohème i codici sociali pesano quanto e più che altrove. Schiacciata fra l’anelito a una vita rispettabile e la realtà obbligata del demi-monde, si scopre così condannata senza appello all’«esistenza grigia, spaventosa, dei derelitti»: un mondo irreale e al tem­po stesso terribilmente concreto, fatto di sordidi caffè e grame camere d’albergo, dove è impossibile trovare scampo alla tragica ineluttabilità della vita.