“Ti dico ciao, ora. Perché è una parola che ha un significato doppio e persino contraddittorio. Si dice ciao quando si arriva. Ma si dice ciao anche quando si va via.”
Piccola biografia, intima e non agiografica, sul padre -morto quando Walter Veltroni aveva solamente un anno. Il confronto, immaginario e virtuale, sognante e fantastico, tra un figlio ormai sessantenne, e il padre, trentasettenne deceduto negli anni ’50. Con i piani ribaltati, il figlio che potrebbe fare, non per anagrafe ma per età raggiunta, il padre a suo padre.
Ciao – Walter Veltroni
Questo libro sicuramente lo metto tra i più belli letti quest’anno.
Veltroni racconta senza retoriche e senza pietismi il vuoto lasciato dal padre, mancato quando lui aveva solo un anno, utilizzando una tecnica narrativa particolare e piacevole.
Veltroni rientra a casa dopo una passeggiata, pregevole la descrizione del parco dei Daini e dei giochi di luce e ricordi, e trova, sul pianerottolo, il padre che lo aspetta. Com’è possibile? Perché ora? E come parlare a quell’uomo vestito con gli abiti degli anni Cinquanta che ha conosciuto solo nelle foto, nelle registrazioni, nelle testimonianze di amici e colleghi della Rai?
Comincia così un dialogo, a lungo rimandato, tra padre e figlio in cui si percepisce tutta la nostalgia per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, i ricordi si rincorrono e si intrecciano a tutte le emozioni che da essi scaturiscono… paesaggi, volti, la radio, la televisione, Roma.
Un viaggio attraverso il dolore della perdita e la meraviglia del ritrovarsi o del ritrovare semplicemente le proprie radici attraverso un percorso pulito, semplice, sincero.
Era l’ultimo anno dei Sessanta, il decennio magico. Ero teso, preoccupato. Quel giorno c’erano gli esami di riparazione, mi avevano rimandato in tre materie e avevo passato l’estate a studiare, a fare cioè quello che in quel tempo di assemblee, collettivi, cortei e riunioni non avevo saputo e voluto fare nei mesi precedenti. Mi sentivo un po’ umiliato, ma lo sarei stato ancora di più l’anno dopo, quando fui bocciato come un cretino, a dover dimostrare che non ero uno scansafatiche.
Mi angosciava l’idea di aver deluso e dato un pensiero a mia madre, che non lo meritava. Mi sembrava però assurdo che il mondo non capisse come l’organizzazione di un corteo contro la circolare di un ministro il cui nome si è disperso nel vento fosse palesemente più importante dell’ablativo e della morfologia del verbo regolare greco. Dovevo cambiare il mondo, roba di settimane, e mi si voleva far perdere tempo con polverose traduzioni che mi apparivano inutili.
Mariagrazia Aiani