“Clearly the secret of happiness is a variation on the general principle of banging your head against a wall, and then stopping.”

Questo romanzo è stato una vera sorpresa. L’ho trovato in biblioteca e l’ho cominciato senza troppa convinzione, insospettita da quella “tenerezza” del titolo che sembrava preludere ad un Harmony camuffato, e invece alla fine del primo capitolo ero già stata risucchiata nella storia e nell’atmosfera che fotografa. Sì, fotografa, perché l’impressione che i paesaggi, gli interni, i percorsi siano ripresi da un occhio cinematografico è molto vivida.
ll romanzo prende le mosse da un delitto: nel Northern Territory canadese del 1867 il corpo senza vita e senza scalpo di un cacciatore di pelli di lupo viene trovato da Mrs Ross, una donna poco inserita nella piccola comunità in cui vive. Il figlio della donna, ragazzo taciturno, strano, un outsider anche lui, manca da casa dalla sera prima. La neve è alle porte e il rigido inverno canadese sta per colpire con indifferenza il villaggio, i boschi circostanti, il lago, la zona insomma in cui cercare l’ipotetico assassino. Mentre in città convergono inquirenti e personaggi un po’ originali sulle tracce del cacciatore ucciso e si cominciano a formulare ipotesi sulle motivazioni dell’assassinio, Mrs Ross decide, in barba al buonsenso, di avventurarsi alla ricerca del figlio insieme ad un cacciatore di pelli mezzosangue sospettato di essere l’artefice dell’omicidio. Il percorso sarà per Mrs Ross l’occasione per guardare dentro di sé e perdonarsi, o accettarsi, e accettare così le eccentricità altrui, e le permetterà anche di trovare il bandolo della matassa di tutta la vicenda.
Nella narrazione si alternano il punto di vista della protagonista che parla in prima persona, i cui occhi scrutano l’orizzonte e i cui pensieri analizzano i passi che l’hanno condotta in mezzo alla neve, e quello di un narratore esterno che racconta quel che succede lontano dallo sguardo di Mrs Ross, anche attualizzando le vicende con un utilizzo disinvolto e sapiente del presente.
Un ibrido tra il romanzo intimista, qua e là anche un po’ femminista, e il giallo, con degli scorci paesaggistici da togliere il fiato e far venire la voglia di mollare baracca e burattini per partire alla volta del Canada, questo libro finisce in un batter d’occhio nonostante le quasi 450 pagine che lo compongono e lascia un’impronta indelebile, e la voglia di ricominciarlo da capo.
“I force myself to feel the Sickness of Long Thinking.
And then Parker turns back to the dogs and the sled, and keeps walking, and so do I.
For what else can any of us do?”
L’edizione italiana è edita da Einaudi e si intitola La tenerezza dei lupi – Stef Penney (2008)
maria silvia riccio