Follie di Brooklyn, Paul Auster

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Non avevo mai letto niente di Paul Auster, e adesso naturalmente sono qua a domandarmi Ma perchè cacchio non ho mai letto niente di Paul Auster, prima???

in realtà un po’ lo so, il perchè: Auster ha una certa fama di scrittore intellettuale dallo stile superbo che scrive storie amare, dure, con vena surreale. Storie difficili, a volte disperate, e per un motivo o per l’altro nel corso degli anni questa premessa mi ha sempre tenuto lontano. Comunque per ogni scrittore (e cantante) arriva poi il momento giusto, basta avere tempo e pazienza di aspettare: quindi ho cominciato la mia avventura con Paul Auster alla venerabile età di 45 anni, con The Brooklyn Follies, in italiano Follie di Brooklyn, Einaudi, e ne sono felicissima.

E’ il libro ideale con cui cominciare perchè, mi dicono, è il più ottimista e commovente. Tutte le recensioni contengono parole come consolatorio, incoraggiante, che fa bene al cuore. E in effetti mi ci ritrovo, è un libro bello, uno di quelli che finisci e vorresti poter riaprire in una nuova pagina per vedere altro di questo suo mondo e viverci un altro po’, e poi chiuderlo e riaprire un’altra pagina, e poi ancora.

Ha dei protagonisti molto accattivanti, alcuni strani, altri antipatici o deboli o pazzi, ma nessuno davvero odioso: sono umani, deboli, imperfetti, e cercano di essere felici. E anche se sbagliano cercano di rimediare, che insomma è un po’ il massimo che si possa chiedere a un essere umano.

E’ ambientato per la maggior parte a Brooklyn, come dice il titolo. Il protagonista principale è un pensionato, Nathan, divorziato, con un cancro in remissione. Decide di trovare un posto in cui ritirarsi a morire, e sceglie Brooklyn, con l’intenzione di scrivere un romanzo di aneddoti sulla sua vita di venditore di assicurazioni, e poi morire in pace. Ma la vita si sa, è quella cosa che ti accade mentre programmi altro, e quindi tempo qualche settimana Nathan ricomincerà a vivere, trovando amici, uno scopo, una famiglia.

E’ un libro scritto magnificamente, dove sì qualche volta emerge il temuto Auster intellettuale, ma in dialoghi sempre interessanti e godibili: che parli di cristianesimo o letteratura americana, di Bush o di arte moderna, non sono mai discorsi snob lasciati cadere dall’alto. Sono persone comuni che parlano, magari molto colte, che ti raccontano aneddoti e storie senza lasciarti sensi di inferiorità.

E’ un bel libro per tante cose, le storie, i personaggi, i dialoghi; e poi perchè ha un messaggio che rincuora: per tutti, disperati di ogni età sesso e religione, c’è speranza, sempre. Anche chi muore può avere un ruolo nella felicità altrui, anche chi è malato ha una sua ragione di essere e andare avanti.

Leggetelo.

Se non siete ancora convinti, fatevi convincere da questa bellissima recensione di Carlo, che mi ha fatto buttare sul libro senza ulteriori indugi:

https://cinquantalibri.wordpress.com/2014/11/27/paul-auster-follie-di-brooklyn/

 

 

Paul Auster, Follie di Brooklyn

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Follie di Brooklyn – Paul Auster

Un libro bellissimo. Esordisco così, che ci togliamo il pensiero, il dente o quel che vogliamo toglierci, così sappiamo subito di che si tratta, nella sua sostanza viscerale, alla fine è questa la frase che vorrei e vorremmo sempre pronunciare e scrivere, dopo averne letto uno, no? E’ il mio primo Auster, sì lo so, sono un ignorante, e vabbè, pazienza, andrò all’inferno…leggi la prima pagina e via, si parte, e non se ne esce, dalla storia.

Personaggi delineati benissimo, Nathan il Capo della storia, il narratore. Alla soglia dei sessant’anni, decide di andare a “svernare” a Brooklyn, tornare ai suoi luoghi di origine, come un vecchio elefante che va a morire, con una vita difficile alle spalle, con molti fallimenti, anche, divorziato, rapporti quasi chiusi con la figlia, e con un tumore in fase di regressione. Ecco, essere scampato ad un cancro è il suo successo, quello che gli consente di respirare ancora e di entrare nella fase finale del percorso, ma senza più nulla da chiedere e soprattutto nulla in cui sperare dalla vita.
E invece no, ovviamente. Auster ci dice che si può, e si deve, anche, chiedere. Che tutto è possibile. Che una presunta vita al capolinea può riservarci l’enorme sorpresa di capire che c’è ancora un bellissimo pezzo di strada da percorrere. Che soprattutto ogni piccolo essere umano ha qualcosa da dire, ed ha dignità di essere ricordato.
Nathan inizia il suo racconto da solitario, credendo fermamente di terminare la sua vita in solitario. La finirà invece in compagnia, e in una bellissima compagnia. Quasi fosse un catalizzatore di emozioni, di sentimenti, del voler bene. Ritrova figlia, ritrova nipoti, conoscerà nuovi amici e conoscerà di nuovo l’amore.
Da fallito a protagonista, pur vivendo episodi al limite del surreale, in ogni caso la sua vita è “normale”, ma nella normalità c’è sempre lo straordinario, nelle vite di tutti esiste la straordinarietà. Il suo intento è quello di scriverci un libro, sulle piccole follie della sua vita e degli uomini comuni, storie singole ma che si legano, c’è sempre un filo conduttore in tutte le nostre piccole storie, fino a farle diventare un gigantesco Libro, in cui tutto assume un senso. Ma poi questo è solo un pretesto narrativo, Auster si diverte moltissimo a creare false piste, per poi spiazzarti, lo fa in ogni pagina, praticamente. Fino all’ultima pagina, fino al finale, bello e sorprendente. Come a dire che è il caso che ci governa.
Le previsioni grigie di Nathan non hanno fatto i conti con l’impetuoso torrente di eventi che lo travolgeranno. Il caso, appunto, e lui ricomincia a vivere, ritrova anche un entusiasmo che non pensava più di poter possedere. E lui si impegna e si ingegna nel dare una spinta, al caso. Aiuta e sostiene i suoi familiari e i suoi amici, aiuta e sostiene i loro sogni, e così permette anche a se stesso di sognare e vivere con pienezza ritrovata.

“- Potrei anche sbatterle fuori di casa, non ti sembra?
– Credo di sì. E finiresti per rimproverartelo ogni giorno per il resto della tua vita. Non farlo, Joyce. Prova a seguire la corrente. Tieni alta la guardia. Non lasciarti infinocchiare. Vota democratico a tutte le elezioni. Pedala nel parco. Sogna il mio corpo perfetto e dorato. Prendi le tue vitamine. Bevi otto bicchieri di acqua al giorno. Fai il tifo per i Mets. Guarda un sacco di film. Non lavorare troppo. Vieni con me a fare un viaggio a Parigi. Accompagnami all’ospedale quando Rachel avrà il bambino, e prendi in braccio mio nipote. Lavati i denti dopo ogni pasto. Non attraversare con il rosso. Difendi i piccoli. Non farti mettere la testa sotto i piedi. Ricorda quanto sei bella. Ricorda quanto ti amo. Bevi uno scotch con ghiaccio tutti i giorni. Respira a fondo. Tieni gli occhi aperti. Stai lontana dai cibi troppo grassi. Dormi il sonno dei giusti. Ricorda quanto ti amo.”

Questo libro è un invito a vivere, un inno alla vita, al “fare” e a non “lasciarsi fare”. Alla speranza, al crederci fino in fondo, al mettersi in gioco sempre.
Nel finale mi ha colpito al cuore la descrizione che Auster fa delle esistenze comuni, di tutti noi comunissimi mortali, rispecchia in pieno quello che io penso, almeno in questo momento. Vorrei davvero postarlo tutto, quel brano, ma non credo di poterlo fare… leggetelo, comunque .
E’ anche un libro sui libri, ci sono tante citazioni, aneddoti, un Kafka meraviglioso…

“La gente prova quello che prova. Chi sono io per dire che hanno torto?”

“Mai sottovalutare il potere dei libri”

Carlo Mars