Le particelle elementari – Michel Houellebecq #particelleelementari #recensione

Egli stimava tutt’altro che arbitrario l’uso che i nazisti avevavano fatto del pensiero di Nietzsche: negando la compassione, situandosi al di là della legge morale, instaurando il desiderio e il regno del desiderio, il pensiero di Nietzsche, secondo lui, portava inevitabilmente al nazismo.

Questo libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1998. Houellebecq si pone l’ambizioso e magniloquente obiettivo di presentarci, sullo sfondo e a intarsio delle due vite dei due protagonisti maschili, una riflessione potente e ampia, lucida fino al cinismo estremo e all’amarezza disincantata, ma non priva di plaghe di luminosa contemplazione e di brevi squarci di poesia e di pietà, sui decenni che vanno dagli anni ’50 fino alla fine del XX secolo, usando la forma narrativa per guardare all’insieme e al susseguirsi dei fenomeni della storia umana da un punto di vista antropologico, sociologico, storico e soprattutto filosofico. Questo grande occhio corale, che verso la fine scopriremo appartenere alla “nuova specie” (e non vi dico altro), abbraccia con disincanto profondo e circolare le vicende umane di Michel e Bruno, fratellastri nati e abbandonati da due genitori incapaci di amare, entrambi cresciuti con le nonne in punti diversi del mondo e poi ricongiunti durante l’adolescenza. Michel sembra non appartenere a questo pianeta. Nasce e sviluppa tutta la sua vita, fino alla morte avvolta nella bruma misteriosa d’Irlanda, in un gioco di luci che fonde insieme acqua e cielo, immerso completamente nella scienza, aiutato da un portentoso intelletto e spinto dal potente innesco della sete di conoscere, che anima pochissimi soggetti sulla superficie di questo pianeta, e che ne costituisce il segreto – privo di onori e sciorinati fasti- motore di propulsione verso l’unico reale avanzamento, che è quello dell’arricchimento della certezza razionale. Michel rimane incapace per tutta la vita di sentirsi collegato agli altri tramite i sentimenti e le emozioni, da cui si separa, avvolgendo tutto nel nastro isolante di una distanza quasi ovattata, deponendo qualche centimetro di siderale silenzio tra sé e gli uomini. Ed è immerso in questo profondo gelo, oberato dal peso di un’atroce tristezza che lo intesse come la sua peculiare fibra esistenziale, che porta a compimento, con sobria originalità e astrale profondità, il lavoro che condurrà l’umanità ad una nuova evoluzione metafisica. Bruno, invece, viene probabilmente concepito da H. e rappresentato come l’esatto opposto di Michel: segnato da un’infanzia mutilata nel suo potenziale di sviluppo e di felicità dalle umiliazioni atrocemente subite, e supportato anche da una certa base caratteriale, Bruno affoga la sua intera esistenza in un’orgia di sensualità. L’immane risucchio del buco nero che si porta dentro lo spinge a una fame insaziabile di riempitivi, che siano la ricerca ossessiva di una catena di locali per ingozzarsi di cibo fino a scoppiare, o la conduzione della vita dettata dal ritmo a onde incessanti e sfibranti di uno scorticante desiderio sessuale, che lo spinge a una ricerca continuamente delusa e inappagata di sensazioni sempre più forti. Interessanti i momenti in cui i due fratelli si incontrano per dialogare un po’ insieme, sulla fragile onda di quel legame di sangue che unisce gli individui e che li spinge, anche se a sprazzi anche separati da anni, a cercarsi, ed è stato bravissimo H. a rendere nel dialogo le due personalità perfettamente opposte, che si raffrontano senza realmente capirsi: da una parte il sensuale e triste Bruno con la sua visione prettamente umanistica e dall’afflato pessimistico e letterario, inzuppata di sesso e dei tormenti della carne, dall’altra l’incanto etereo, perfettamente sigillato e quasi tautologico del punto di vista precisamente filosofico di Michel, che nel suo distacco dal fango terreno e brulicante di malvagità, crudeltà e passioni, riesce a confezionare delle perle di astrazione pura, risultando tuttavia, alla fine, probabilmente solo l’altra faccia della medaglia di quel nucleo di gelida tristezza che sta all’origine delle vite di entrambi, e che io ho intravisto nella terribile mancanza del calore, del corpo, e dell’amore comprensivo, illimitato e vibrante di sacrificio e di auto-abnegazione, che solo una vera madre può dare.
Confesso che ho trovato i capitoli della storia del Bruno adulto i più difficili da digerire, e questo perché sono tutti – e probabilmente apposta- mirati alla rappresentazione brutale dell’atto sessuale, nelle infinite sfumature del suo meccanicismo ripetitivo e nella continua ricerca di un appagamento che, una volta terminato, si ritrasforma, panicamente, in nuovo incessante desiderio, fino alla disillusione totale dell’uomo quarantenne, che si spegne nella vitalità e nella potenza, volgendo intorno a sé e nel bilancio del suo passato uno sguardo lucido e amaro di cinico disincanto.
Per quanto riguarda un giudizio personale sullo stile dell’autore, mi è piaciuta la magniloquenza e la ricchezza abbondante del lessico ricercato, che si dipana come un tessuto di seta trasformando tutta la complessità dell’umana grandezza e miseria in una elefantiaca impresa affabulatoria e filosofica, anche se devo ammettere che alcuni passaggi sono stati intellettualmente ardui e, permane il sospetto, forse anche un po’ tautologici e confusi, un po’ sull’andante della pretesa del sapere e conoscere tutto che si pesta i piedi da sola. Molto interessante sul piano scientifico l’epilogo, che non posso svelare perché è probabilmente la parte più coinvolgente sul piano mentale dell’intero romanzo, che comprende il disvelo dell’identità della voce narrante e pone interessanti quesiti sulla ventura evoluzione metafisica che H., come proposto già nelle prime pagine del libro, ci lancia a mo’ di lucidissima e tagliente provocazione.
Nel complesso posso dire che è uno dei libri più violenti che io abbia mai letto, aggressivo come solo una razionalità perfettamente affilata, disincantata, lucida, cinica e profondamente penetrante, distillata probabilmente dalla stessa esperienza umana dell’autore, può essere, in quanto per me la vera violenza di cui è capace l’uomo, come sembra anche dimostrare il libro stesso, non risiede nei sentimenti, ma risiede nella mente. E se l’uomo si vuole evolvere, non può più sperare in un’evoluzione mentale; solo in un’evoluzione genetica.

Per l’occidentale contemporaneo, anche quando gode di buona salute, il pensiero della morte costituisce una sorta di rumore di fondo che si insinua nel suo cervello man mano che progetti e desideri vanno sfumando. Con l’andar del tempo, la presenza di tale rumore si fa sempre più invadente; la si può paragonare a un brusio sordo, talvolta accompagnato da uno schianto. In altri tempi, il rumore di fondo era costituito dall’attesa del regno del Signore; oggi è costituito dall’attesa della morte. Così è.

Per quanto riguarda il titolo, mi è venuto in mente che si riferisca alle riflessioni che nel vero protagonista dell’opera, Michel Djerzinski, scaturiscono come conseguenze filosofiche a partire dai principi della meccanica quantistica: un mondo futuro non può più basarsi sull’ontologia, vecchia spoglia di ideologie ormai fruste, ma sugli stati, proprio come accade per le particelle; ne consegue che le uniche entità che contano sono le interazioni, e questo pone il fondamento per una nuova speranza: il futuro dell’umanità risiede nel prezioso ordito dell’Amore.

Questo libro è innanzitutto la storia di un uomo, di un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. Perlopiù solo, egli intrattenne tuttavia rapporti saltuari con gli altri uomini. Visse in un’epoca infelice e travagliata.

Giulia Casini, 7/07/18

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H. P. Lovecraft. Contro il mondo e contro la vita – Michel Houllebecq #HPLovecraft #MichelHouellebecq

H. P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita – Michel Houellebecq
Traduttore: S. C. Perroni
Editore: Bompiani
Collana: PasSaggi
Edizione:2

Howard Phillips Lovecratt, il più grande autore di letteratura fantastica del Novecento, è l’oggetto e insieme il soggetto di questo testo scritto da Michel Houellebecq “come se si trattasse del mio primo romanzo”. Fondendo in un sapiente collage elementi biografici e analisi del testo, apparati critici e aneddotica, saggio e racconto, l’autore più trasgressivo del panorama letterario francese ha saputo offrire un tributo viscerale e appassionato all’autore che più ama, e soprattutto alla creatura più amata, quella “letteratura del sogno” di cui H.P. Lovecraft fu esponente a tutt’oggi insuperato.

Pronunciate senza esitare il grande “ No” alla vita.

E la scrittura di Lovecraft, vi porterà in luoghi invisibili in cui creature maligne, evocabili, usando il Necronomicon, un libro di magia nera scritto da un arabo, non sono altro che metafore dell’impotenza del genere umano. Rappresentazioni del suo fallimento e della sua impossibilità di controllo sul mondo.
L’orrore e l’incubo diventano, quindi ciò che noi lettori abbiamo di più prossimo. L’inconscio della paura e di ciò che chiamiamo caos, viene nominato. E la letteratura diventa un mezzo per essere altrove e ,forse , per provare meno dolore. In questo breve e denso saggio, Houellebecq mette su carta una perfetta commistione tra biografia e opera lovecraftiane, rivelandoci aspetti meno conosciuti dell’autore americano, che grande importanza hanno avuto nel concepimento dei suoi libri.

“Lovecraft, dal canto suo, ne aveva parecchio le palle piene. Nel 1908, a diciott’anni, rimane vittima di quello che è stato definito un “collasso nervoso” e sprofonda in un letargo che durerà una decina di anni. All’età in cui i suoi ex compagni di classe voltano impazientemente le spalle all’infanzia per tuffarsi nella vita come in un’avventura meravigliosa e inedita, Lovecraft si chiude in casa, parla soltanto con la madre, di giorno rifiuta di alzarsi dal letto, di notte si trascina per casa in vestaglia. E non scrive. Che fa? Forse legge un po’. Non è chiaro. In effetti i suoi biografi concordano nel dire che non ne sanno molto e che Lovecraft, con ogni probabilità, almeno tra i diciotto e i ventitré anni, non fa assolutamente niente.”

“La vita è dolorosa e deludente” scrive Houellebecq, riecheggiando le parole di Lovecraft: “Sono così annoiato dal genere umano e del mondo che nulla mi può interessare a meno che non ci siano in ogni pagina scritta degli orrori innominabili che aleggiano nelle periferie dell’universo”.
Non stupisce l’interesse di Houllebecq per la letteratura che sceglie di non indagare il reale, e di non usare l’immaginazione per comprenderlo.
Ciò che invece coinvolge è la passione e l’amore dello scrittore francese per la “persona Lovecraft , e per i suoi scritti che ben ha analizzato e studiato.
Si sofferma molto, in questo suo primo romanzo, sul patrimonio smisurato epistolare di Lovecraft che ci permette di scoprire anche una certa ironia che nei suoi racconti manca. Del resto Lovecraft scriveva non per sublimare le sue frustrazioni con l’arte, piuttosto per terrorizzare i suoi lettori, riuscendoci perfettamente: la sua precisione onirica produce l’effetto di una completa immersione in quei mondi di cui si sentono anche gli odori.
E oggi, che viviamo in un presente iperrealistico, in cui tutti gli eventi ci raggiungono in forma d’immagini, consegnandoci a un’ignoranza obbligata sulla loro realtà, di cui siamo inconsapevoli, una letteratura che parte dall’irreale per creare un’altra realtà pare essere l’unica via percorribile per sfuggire da un reale “finto “ e “massificato”.
Per questo motivo Lovecraft è ancora oggi da leggere.
L’attenzione di Houllebecq è anche psicologica sullo scrittore di Providence, narrando anche episodi biografici che rilevano il suo senso d’inadeguatezza estremo alla vita quotidiana, soffermandosi sulle fobie e sulle paranoie, come le sue convinzioni reazionarie e razziste, o il suo completo disinteresse verso il denaro e il sesso.
Poco ci è raccontato dell’infanzia, che a parer mio, è stata costituente la sua misantropia nel rapporto castrante e iperprotettivo della madre. Il suo disinteresse per l’umanità personalmente non penso derivi dalla oggi più che legittima disperazione nichilistica di Houellebecq, ma da un distaccato razionalismo che ha una lunga tradizione storica e filosofica;  insomma Houellebecq, nel delineare lo sfondo, ci mette molto del suo, e scrivendo di Lovecraft, in realtà Houllebecq parla anche di sé.
E questo suo prima pubblicazione è un ottimo punto partenza per chi voglia conoscere entrambi gli autori, due pensatori simili, secondo Houellebecq, separati solo dallo spazio e dal tempo. Certo occorre distinguere nel libro la grande passione personale che l’autore indubbiamente prova per Lovecraft, dalla analisi che ne fa, un po’ generica e con qualche inesattezza biografica sparsa. Direi che lo scritto presenta analisi sostanzialmente basate sulla suggestione, mostrando quanta fascinazione possa esercitare la scrittura di Lovecraft, un uomo che si riflette in un quadro antropologico e psicologico scostante, forse anche preoccupante, ma che ha in qualche modo contribuito al concepimento di uno dei pantheon più deliranti e riusciti – e ricco di epigoni – della storia della letteratura, quello (complesso e assai articolato) che va sotto il nome di Miti di Cthulhu. Un po’ biografia un po’ saggio critico, Contro il mondo contro la vita è lettura preziosa e piacevolissima per i fan di Howard P. Lovecraft e del fantastico in generale, ed è arricchito da una lunga e arguta postfazione di Stephen King in appendice.

Egle Spanò

Incipit
Quando iniziai questo saggio (verso la fine del 1988), mi trovavo in una situazione identica a quella di decine di migliaia di lettori. Scoperti i racconti di Lovecraft all’età di sedici anni, mi ero immediatamente tuffato nella lettura di tutte le sue opere disponibili in francese. In seguito avevo esplorato, pur con passione declinante, sia i continuatori del mito di Cthulhu sia gli autori cui Lovecraft si era sentito vicino (Robert Howard, Dunsany, Clark Ashton Smith). Spesso tornavo comunque ai “grandi testi” di Lovecraft, che non cessavano di esercitare su di me un’attrazione strana e contraddittoria rispetto ai miei gusti letterari. Ma della sua vita continuavo a non sapere nulla.