Il libro bianco è un testo che Jean Cocteau ha scritto nel 1927 e fatto pubblicare l’anno seguente. Si tratta di una narrazione poetica della propria omosessualità, specialmente negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Le prime copie stampate, in numero limitato, non menzionano il nome dell’autore; mentre la seconda edizione viene firmata ma non vengono riconosciuti come propri i vari disegni presenti (non in tutte le edizioni italiane sono presenti i disegni).
In italiano ne esistono due edizioni: una di Guanda Editore, 1993, Collana: Quaderni della Fenice, Curatore: G. Pavanello. E una del 2013 dalla casa editrice ES,, traduzione di Roberto Rossi Testa , con le illustrazioni dello stesso Cocteau che accompagnavano l’edizione del 1930, insieme ad alcuni testi erotici in prosa e in versi.
Jean Cocteau non ha mai ufficialmente legittimato la paternità di questo libro, anche se ha permesso che fosse incluso nell’elenco della sua biografia autorizzata.
Questa ambiguità nelle scelte dell’autore pervade tutto il libro, tanto da diventare essenza del suo pensiero.
La ragione addotta per il rifiuto di firmarlo si trova nel desiderio di proteggere la madre; ma nel libro si avverte, oltre che una incontenibile voglia di denuncia del suo stato di sofferenza, la paura di raccontare a tutti, non solo alla famiglia, della sua omosessualità.
Da un lato scrivere delle sue avventure e dei suoi tormenti adolescenziali gli era necessario per dare prova della propria autenticità; e dall’altro, considerato che fu scritto e pubblicato nel 1928, egli temeva sicuramente per la sua reputazione letteraria.
Il libro si sviluppa tra una sorta di confessione e un’analisi sociologica impersonale sul significato dell’amore e del desiderio, e sulla sistematica negazione dello stesso imposta dalla società. E’ un racconto denso di sofferenza, in cui in ogni capitolo è rappresentato un amante diverso e quindi un raggiro e un dolore più grande, un susseguirsi di piaceri unicamente carnali che non trovano una controparte spirituale, psicologica ed emotiva, accompagnati solo da senso di colpa e di inadeguatezza.
Ogni episodio ci racconta di un’ingiustizia sociale, e il messaggio di Cocteau pare chiaro: “Le mie disgrazie sono dovute a questa società che condanna qualcosa che è fuori dal comune, come fosse un crimine, e ci obbliga a riformare le nostre inclinazioni naturali”.
Le riflessioni sull’omofobia sono penetranti e rivelatrici, come nella valutazione di suo padre, che egli identifica come tipico omosessuale latente : “Esistono pederasti che non conoscono la propria natura e vivono fino alla fine dei loro giorni in uno stato di disagio che attribuiscono a una cattiva salute o a una natura gelosa… Mio padre era senza dubbio ignaro della sua inclinazione e invece di perseguirla, ne seguì con forza un’ altra senza sapere cosa rendesse la sua vita così insopportabile. A quel tempo le persone si uccidevano per molto meno”.
Comunque, affrontando anche le relazioni eterosessuali, l’autore le mostra come inserite in un sistema di dogmi precostituiti che lasciano poco spazio alla vera natura degli uomini. Non esiste, per lui, una zona neutrale intermedia dove le persone possono liberamente scoprire sè stesse e l’altro, e determinare autonomamente le proprie disposizioni senza tener conto delle aspettative del mondo esterno.
Perciò: “L’amore va reinventato, la vita rivissuta, la sofferenza allontanata (…) ma non accetto di essere tollerato. Questo danneggia il mio amore per l’amore e per la libertà.”
E’ un libro interessante per le riflessioni attualizzate sull’accettazione di ciò che non vogliamo comprendere, e per conoscere un artista nella sua autenticità.
Egle Spanò