C’avete presente tutte le ciacole e le bubbole e le fole e le leggende sullo spirito di sacrifizio delle madri? bè sono dogmi assoluti, invece. Come per tutte le verità della fede non abbisognerebbero di prove provate ma invece su sta pubblica piazza siori e siore, eccone la dimostrazione.
Ho ceduto (temporaneamente) alla creatura il mio ibucco. Amen.
Ma d’altronde avevo avuto in dono un tot di tomi in cartaccio traccui, surprise surprise, il beneamato Eshkol, appena scito, callo callo. Vi ho già in passato sbullonato ampiamente sulla produzione di questo scrittore israeliano che ammè garba parecchio. E perciò eccocici qui.
Della trama riesco a sintetizzare soltanto l’incipit, ovvero di come un benestante ebreo americano alla morte della diletta moglie decida di destinare un bel po’ di soldini alla costruzione, in Galilea, di un mikveh, un bagno rituale (le donne ebree lo utilizzano per “purificarsi” dopo il ciclo, gli uomini per purificarsi tucur, che gli fa sempre bene e non basta mai, dico io) per onorarne la memoria.
I destinatari di tale bella sommetta individuano un solo luogo dove poterlo costruire: un’area abitata da immigrati russi, tutti vecchietti, tutti con le proprie ruskie tradizioni, non ablanti la lingua ebraica e manco per gnente osservanti.
Da questo prologo si svolgono tutta na roba di personaggi ed eventi e situazioni, alcune assai comiche ma parecchio.
Non dirovvi di più. Aggiungerò solo che i personaggi, come si evince dal titulo, c’hanno ciascuno i propri cavoli da smazzare, in generale non sono per niente contenti, in generale non capiscono troppo bene quale sia la propria identità, nè il proprio luogo nel mondo, fuori luogo, smarriti, soli e perduti, perlappunto). Dolente e divertente questo amato Eshkol, diverso dagli altri suoi, ma piaciuto assai.
C’è il sesso un po’ per ogni dove, in sto libro. il sesso e il sacro, insieme, indissolubilmente legati. Alcune “scene”…bè indimenticabili…E io che gli scacchi non li ho mai potuti tanto reggere (e perchè? ecchennesò), proverei a giocarci solo per lo spiegone che Anton fa a Daniel per avvicinarlo a sto giuocagiuè.
“Di recente Daniel gli ha chiesto: ma io cosa sono per te? Anton sapeva che il bambino desiderava una definizione solida, una cosa tipo ‘nipote acquisito’ o ‘nipote d’adozione’, ma ha risposto solo: tu per me sei smesinka, il riso nel cuore…”
“E forse allora, a vent’anni e una sigaretta, non poteva sapere che ognuno ha il suo lato oscuro, e che quel che veramente conta è quanto è illuminato il lato illuminato.”
Soli e perduti – Eshkol Nevo
Stefania Lazzìa