Lo straniero, Albert Camus

Lo straniero – Albert Camus – 1942, pag. 150

cmus

Per la seconda volta ho ripreso in mano questo libro, e credo di aver avvertito le stesse difficoltà.
Mi resta sempre difficile interpretare il senso di certi romanzi.
Lo straniero è inteso come assolutamente estraneo alla propria vita. Mersault è assolutamente spettatore rispetto alla sua stessa vita, straniero come estraneo totale a ciò che lo circonda. Nella prima parte ci viene descritto lui, il suo carattere, nella seconda la sua assoluta rassegnazione, l’immobilità completa di fronte agli aventi, fino alla fine.
Mersault ha sempre lo stesso atteggiamento. Quando muore la madre non piange, nemmeno una lacrima gli scende dal viso, al contrario del resto del mondo. Quando gli viene chiesto se abbia voglia di sposarsi, risponde con un “è uguale”. Si affaccia dal balcone e vede la vita che scorre al di sotto, imperturbabile.
Quando gli eventi precipitano potrebbe fare ancora qualcosa per cambiare l’esito finale, ma sceglie l’inerzia, di nuovo. Una linea di demarcazione nettissima col mondo e le sue convenzioni, e il mondo non può che respingerlo, annientarlo. Uno straniero non può stare in un mondo rifiutandone le convenzioni, non interagendo, non amando, non odiando, non credendo a nulla e a Nessuno. Se spera nella salvezza, lo spera affidandosi di nuovo al caso, ma non a se stesso. Tutti coloro che hanno letto questo romanzo si sono attesi un mutamento, una ribellione, un pentimento, un cambio di stato d’animo, l’istinto di sopravvivenza finale. Ma Mersault non ha mai nulla di tutto questo, accetta la morte così come la nascita, tutto è avvenuto per caso e per caso finirà.
E’ l’eliminazione totale delle proprie responsabilità, qualcosa che per la maggioranza di noi risulta inaccettabile.
Subire tutta una vita, il peso di tutta una vita, senza reagire, credo sia qualcosa di terribile. Ma è chiaro che accettare il corso degli eventi come ineluttabile sia anche uno sgravarsi del peso, un alleggerirsi, e dunque accettare anche la vita per quello che è.
Completa dissociazione tra la vita dell’individuo e quella del mondo. L’individuo è destinato alla morte, è la fine del suo percorso, qualunque vita sia
stata. Il mondo invece prosegue, inarrestabile, imperturbabile. E dunque, per essere in armonia con esso, si deve diventare a nostra volta imperturbabili, allora si raggiungerà la felicità.
Angosciante, sconcertante.

Carlo Mars

L’opera, divisa in due parti, racconta della vita di un uomo di origine francese, che vive ad Algeri, conosciuto come Meursault. La vicenda inizia con la morte della madre del protagonista, ospite di un ospizio fuori città. Il carattere di Meursault viene subito messo in evidenza: sembra non provare alcun tipo di emozione per la madre, rifiuta di vederne le spoglie, beve caffè e fuma vicino alla bara. Il punto di vista è in prima persona, direttamente nella mente di Meursault. Nei giorni dopo il funerale, questi inizierà una relazione con una donna, sua ex collega di ufficio, conosciuta in spiaggia, di nome Maria.

Per quanto Maria sia veramente innamorata di lui e desideri sposarlo, il protagonista prova per lei solo desiderio fisico privo di sentimenti. Meursault si ritroverà, per una serie di circostanze e senza una volontà precisa, a commettere un omicidio su una spiaggia, colpendo un arabo e uccidendolo per poi sparare altre tre volte sul suo corpo inerte. La pistola gli era stata data da un suo amico, Raymond Synthès, un magazziniere forse sfruttatore di donne che aveva schiaffeggiato e picchiato la sorella della vittima, provocando in questi un desiderio di vendetta.

Meursault verrà messo in prigione per il suo crimine e durante il lungo processo verrà discusso, più che l’assassinio, il fatto che l’imputato sembri non provare alcun tipo di rimorso per quello che ha fatto. Malgrado i tentativi dell’avvocato difensore, e vista anche la poca collaborazione del suo assistito che non difende nemmeno se stesso, alla fine Meursault verrà condannato a morte; egli non tenta nemmeno di trovare il perdono attraverso Dio, rifiutando il conforto del prete. La storia finirà con Meursault che realizza quanto l’universo stesso sembri indifferente rispetto all’umanità.

Marina Viola, Storia del mio bambino perfetto

Storia del mio bambino perfetto – Marina Viola – 2015, pag. 241

marina viola

Un figlio felice.Questo è l’obiettivo di ogni genitore. Quello che tutti ci poniamo, ancor prima che questo figlio nasca. Miliardi di pensieri, di desideri, di paure, di sogni, ci riversiamo addosso e riversiamo su di lui. E pensiamo subito a come sarà il suo viso, il suo primo sorriso, la sua prima parola, a come sarà vedere i suoi occhi che incroceranno i nostri, e poi via via, perchè i pensieri non li fermi, in un centesimo di secondo passi dalla culla, alle pappe, all’asilo, a come sarà a scuola, a quando giocherà a pallone con te, ai compiti, ai suoi sperati successi nella vita. Perchè ce la prefiguriamo così, la sua vita, normalmente bella, senza grandi intoppi, piena comunque di possibilità. Ma questa storia racconta altro. Racconta di come in un attimo tutti questi pensieri e sogni svaniscano, si frantumino, lasciandoti solo, in un deserto di disperazione. Racconta di un bimbo che non sorride. Che non guarda la mamma, ma guarda fuori dalla finestra. Come se fosse il primo a rendersi conto di essere estraneo. Ma anche di come, dalla disperazione, da un sentimento di non accettazione, si possa cominciare ad intravedere una luce di possibilità. Fino ad arrivare alla consapevolezza che tuo figlio è comunque perfetto così com’è, ed è felice così, diversamente felice, ma comunque felice. Un libro che è un’avventura, fatta di mani sporche, di pianti, di rabbia, di ostacoli tremendi, ma anche di sorrisi, di risate a crepapelle, di gioia vera, limpida, una storia e una dichiarazione d’amore, una storia sul cosa voglia dire sentirsi diversi, diversi in tutto, stranieri nei rapporti con gli altri e stranieri come inserimento in una Terra altrui, dall’Italia agli Stati Uniti, sul come la molteplicità, che spesso ci incute timore, possa significare solo quel che è, molteplicità. Diverso, una parola che usiamo ma di cui temo abbiam perso la conoscenza del significato. Rivolto altrove, ma anche vario, differente, che muta, che si trasforma. La sua accezione positiva l’abbiamo trasformata in una gabbia di paura. 18 anni di vita di Luca, in cui la sua famiglia ha imparato a vedere la bellezza dove non avrebbe mai immaginato risiedesse. Una nascita, una morte, e una rinascita. Luca nasce normale, ma questa idea tramonta e muore, e Luca rinasce diverso. E sua madre, suo padre e le sue sorelle debbono imparare a conoscere il nuovo Luca. A tastoni, spesso, a tentativi, anche goffi, e tanto dolorosi. Ma Luca è Luca, senza filtri, diverso appunto perchè non possiede le nostre barriere mentali, non conosce le convenzioni, se vuole le patatine si getta a terra in un fast food finchè non le ottiene. Una storia di cui ho segnato tante cose, ho estrapolato tanti paragrafi, che provocano sofferenze forti. I parenti che si allontanano. I genitori dei compagni di scuola che non ti invitano ai compleanni. Le persone che si scansano al ristorante. Ma anche la solidarietà e gli abbracci di tanti altri. L’aiuto e la comprensione concreti. Anche noi “normali”, siamo diversi, tra di noi, e tanto. Sappiamo far male, con la nostra indifferenza e il disprezzo, ma sappiamo anche abbracciare ed aiutare. Marina è una donna forte, ed ha avuto forti aiuti, in questo viaggio. E il suo senso dell’umorismo è stata una potente arma che le ha consentito di affrontare salite impervie. Ho letto il suo blog, e lo leggerò ancora. C’è tanto da imparare, nella vita. Ho patito tanto, nel leggere. Tanto come poche volte mi è successo. Dentro questo libro ho ritrovato tante sensazioni e tanti pensieri, che mi hanno accompagnato e mi accompagneranno sempre. Lacrime e sorrisi. La vita, è così. Questo libro è uscito il 12 marzo. Una data, un segno, per me. Sulla mia bacheca ho postato tanti brani, di questo libro, perchè sono stati brucianti, di calore vivo, mi hanno devastato, a tratti. Sto facendo un casino, con questa recensione, ma stavolta va così, e lo sapevo dal primo secondo.

“Ho pensato a chi si lamenta perché i figli non vanno bene in matematica, a chi non si occupa dei diritti dei disabili perché tanto a loro non cambia niente, a chi dà la salute mentale per scontata, a chi non riesce a vedere la bellezza negli occhi di una persona diversa, a chi non ha idea di cosa ci sia al di fuori della propria cerchia, a chi non è soddisfatto di quello che ha, a chi dice “mongoloide” o “ritardato”, a chi crede che siamo tutti trattati allo stesso modo, a chi pensa che non sia di sua competenza, a chi sottovaluta i propri figli, a chi non sa, o non vuole sapere.”

“Tutto questo per dire che sono arrivata, dopo tanti anni, a una conclusione che può sembrare azzardata, e sicuramente non condivisibile dalla maggior parte delle persone: sono sempre più convinta che essere autistici sia come essere omosessuali, o transgender, o neri, mancini, o di qualsiasi minoranza si voglia. Si è nati così e basta. La differenza è che le altre minoranze sono riuscite a creare movimenti sociali e politici di sensibilizzazione, hanno lottato per il loro sacrosanto diritto di essere quello che sono senza venire discriminati, mentre le persone autistiche non riusciranno mai a far sentire la propria voce.”

“Al ritorno dalla vacanza avevo la mente e il cuore più leggeri, più liberi, e ricordo che a un tratto mi accorsi che, invece di avere un problema, avevo Luca: un bellissimo bambino che allattavo ancora, che portava dentro di sé i segreti che solo la medicina poteva rivelarci; un bimbo che non avrebbe mai capito, neanche da grande, che il suo essere in quel modo voleva dire difficoltà, esami ospedalieri, battaglie. Un bimbo nato così, come noi siamo nati così. Senza colpe. Puro, come Luca è sempre stato.”

Credo che Marina Viola sia davvero una persona speciale. Anche se come tutti noi, con le sue debolezze, i suoi momenti di abisso. Più che comprensibili. Questo libro è un diario del suo percorso personale, di come sia entrata nell’abisso e di come lo abbia affrontato. Possiede un’ironia che credo e spero abbia ereditato da suo padre e che si è rivelata un aiuto senza pari.

Carlo Mars

Maria Silvia Riccio: Adesso è anche sulla mia lista: domani vado a cercarlo in libreria. Non so cosa voglia dire che tu sei coinvolto, Carlo, anche se un’idea ce l’avrei, ma quel che hai scritto è coinvolgente e sa di buono e spero faccia la stessa impressione anche a chi non è direttamente toccato dalla diversità, a chi non ha mai dovuto sottrarsi agli sguardi di rimprovero di chi ti crede un genitore incapace e morbido, a chi di vista ti conosce e si chiede come mai nel carrello della spesa tu abbia ancora omogeneizzati e pannolini quando i tuoi figli hanno superato i dieci anni, agli amici che spariscono all’orizzonte dopo che hanno capito che il tuo bambino è perfetto di una perfezione che a loro sinceramente sfugge, eh, ma non per cattiveria… Ti abbraccio Carlo Mars, e grazie davvero per questa recensione

Luca Bacchetti: bello, grazie. Mi ha fatto peraltro tornare in mente il film “Temple Gradin”, che consiglio, se non l’avete visto. Qui una delle scene finali. Credo che la mamma di Luca e la mamma di Temple siano persone veramente speciali, con figli speciali.

https://youtu.be/-5TtjbLQUTQ

Anna LittleMax Massimino: Segnalo un altro libro, anche questo la testimonianza molto intensa (e allo stesso tempo gioiosa) di una mamma nel suo percorso di vita con la figlia nata con la Sindrome di Down: http://www.amazon.it/Lo-zaino-Emma-Martina-Fuga-ebook/dp/B00O5N2T20/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&sr=&qid= Lo zaino di Emma, Martina Fuga

Molti pensano che la disabilità di un figlio sia un dono, ma chiedetelo ai nostri figli. La sindrome di Down non è un dono, mia figlia è un dono, ma per com’è lei, non per la sindrome. Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe se… e non me lo chiedo per me, me lo chiedo per lei! Io di quello zaino sulle spalle di Emma posso anche farmi carico, ma fino a che punto? Non posso portarlo io al suo posto! Un giorno lei vorrà toglierselo quello zaino e io dovrò spiegarle che non è possibile. Quel giorno sarà il più difficile della mia vita.” Martina Fuga, mamma di una bimba con sindrome di Down, racconta la sua storia di vita possibile. Ricordi, episodi, riflessioni si snodano lungo il percorso di accoglienza della disabilità della figlia iniziato quasi dieci anni fa. Nelle istantanee di vita narrate in una prosa asciutta ed essenziale si alternano difficoltà e conquiste, dolore e coraggio, paura e fiducia nel futuro, in un equilibrio delicato che la vita spesso impone. Lontano da intenti buonisti, spietato come la verità sa essere, Lo zaino di Emma racconta lo straordinario rapporto che lega una madre a una figlia e offre spunti di riflessione a chiunque si interroghi sul senso vero della vita.

Maria Silvia Riccio: Facciamo il pieno: anche il romanzo breve La bambina, il pugile e il canguro di Gian Antonio Stella è una piccola perla di sensibilità sulla diversità.

Lorenza Inquisition. Io segnalo questo: Diogo Mainardi, La caduta https://cinquantalibri.wordpress.com/?s=diogo+mainardi