Il dio delle piccole cose – Arundhati Roy

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Nell’India ancora dominata dalla cultura delle caste, anche l’amore deve sottostare ai confini dettati dalla gerarchia; “Change is one thing, acceptance is another”.

Rahel ed Estha sono una coppia di gemelli eterozigoti che condividono un attaccamento tanto profondo che riescono a definirsi soltanto nel loro rapporto reciproco. “In those early amorphose years when memory was only just begun, when life was full of Beginnings and no Ends, and Everything was For Ever, Esthappen and Rahel thought of themselves together as Me, and separately, individually, as We or Us. As though they were a rare breed of Siamese twins, physically separate, but with joint identities”. Estha , il ragazzino diligente e buono, e Rahel, la bambina con il grande ciuffo sulla testa, i due fratellini legati da una sensibilità misteriosamente divisa, e poi divisi dall’incalzare della vita, vedono muoversi davanti ai loro occhi il tragico teatro della società indiana.

Il libro segue le drammatiche vicende dei gemelli e della famiglia materna, procedendo in avanti e indietro nel tempo, con ripetizioni e salti frequenti. L’evento cruciale della storia è anticipato sin dalle prime battute e la narrazione ci torna più e più volte, come se fosse dettata da un ricordo, in cui riaffiorano ogni volta nuovi particolari che definiscono man mano la vicenda, fino al disvelamento finale.

La scrittura è densa e materica e si sofferma volutamente su quelle “piccole cose” che sembrano insignificanti ma finiscono per decidere il percorso delle vite dei protagonisti. L’aspetto più affascinante del romanzo è il linguaggio, che la traduzione di Chiara Gabutti rende efficacemente: parole che si fanno immagini e cose, anzi piccole cose, piccoli dei. Si è circondati da realtà vive, basta nominarle o pensarle e assumono una loro autonomia e una forza condizionante con cui è possibile dialogare o scontrarsi.
“The slow ceiling fan. The sun behind the curtains.
The yellow wasp wasping against the windowpane in a dangerous dzzzz.
A disbelieving lizard’s blink.
High-stepping chickens in the yard.
Red ants on yellow stones.”

“The Great Stories are the ones you have heard and want to hear again. The ones you can enter anywhere and inhabit comfortably. They don’t deceive you with thrills and trick endings. They don’t surprise you with the unforeseen. They are as familiar to you as the house you live in. Or the smell of your lover’s skin. You know how they end, yet you listen as though you don’t. In the way that although you know that one day you will die, you live as though you won’t. In the Great Stories you know who lives, who dies, who finds love, who doesn,t. And yet you want to know again.
That is their mystery and their magic”

Arianna P.

Arundhati Roy, Il Dio delle piccole cose

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Eccomi, ho lasciato un pochino decantare e sedimentare, e ora scrivo qualche parola su questo libro.E’ del 1997, arrivo con 17 anni di ritardo.E’ stata dura. Il libro è duro, e duro è stato seguirlo. La prima cosa che voglio dire è questa: se avete la mente e il cuore impegnato o distratto, se non siete concentrati al mille per mille, se siete nervosi per motivi tutti vostri, lasciate stare questo libro, riponetelo in libreria, comodino, scrivania, e tornate a prenderlo tra le mani quando il vostro animo sarà pacificato, quando vi sentirete come in una notte d’estate sdraiati a pancia in su, in un prato lontano cento chilometri dalla prima luce di un centro abitato e avete l’universo stellato dentro i vostri occhi. E’ troppo complicato, questo libro. Troppo duro e di difficile digestione, e dovete essere pronti. A me almeno è accaduto questo…sono certo sia un grande libro, ma quando ho faticato così tanto, beh la fatica mi porta via un po’ di piacere. E’ stata una sfida, questo scritto. Come se mi dicesse “dai, fatti sotto, leggimi, e vediamo quanto cazzo ne capisci, somaro…”…..Lo stile è molto particolare. Non so se mi sbaglio, ma Garcia Marquez c’entra qualcosa, c’è molta atmosfera magica, soprattutto nelle descrizione della natura, dei suoni, dei colori. Un continuo alternarsi di presente e passato, che spiazza parecchio, almeno a me….forse i continui salti temporali per me sono stati complicati da seguire, probabilmente perché non avevo la giusta attenzione e passione. La storia è ambientata nell’India di fine anni Sessanta, e racconta la vita di questa donna, Ammu, e dei suoi due figli gemelli, Rahel ed Esthe, ma racconta anche le storie dei loro familiari. E racconta di Velutha, l’intoccabile. Un amico di famiglia, ma “diverso”. La divisione in caste dell’India di quell’epoca impediva a persone come lui di frequentare persone come Ammu. Ma lo sapete come funziona l’amore, no? Se ne frega altamente del terreno dove si trova, non ci sta attento. E se deve scoppiare, beh scoppia, e fa un bel cacchio di botto. La magia di questo libro è che il tutto viene visto con gli occhi dei due bambini, che filtrano tutto con i loro parametri, che sanno trasformare anche le tragedie, le deformano forse per sopravvivere, anche..e non riescono a capire la cattiveria degli adulti, le loro convenzioni, i loro paletti assurdi…loro vedono solo uomini, e donne, e bambini come loro…e se intravedono il Bene, lo desiderano e lo ricambiano, non sanno e non vorrebbero saperne altro. E’ una storia amara, durissima. Una storia d’amore, e non solo tra Ammu e Velutha. Ma il loro amore è il fuoco del romanzo. Amore impossibile, e loro lo sanno. Ma non ci rinunciano, perché una volta saliti su quel treno non si scende. E lo vivono così. Salutandosi, ogni notte, chiedendosi “Domani?”….perchè contano le piccole cose, i minuti, le ore, lo stare insieme giorno dopo giorno, che a viverlo al momento sembra poco, ma le gocce sommate possono fare un lago. E sperando che ogni giorno ci sia una goccia da raccogliere. Non resta altro. Un libro che è un temporale, come in effetti ce ne sono, descritti al suo interno. Si aspetta tanto l’acqua, perché si ha sete infinita, perché è vita. Ma si rischia di esserne travolti, qualche volta. Mi resta tanta amarezza, lo rileggerò, spero, prima o poi, per capire quello che non ho capito. Ma non ne sono affatto sicuro, sempre per la famosa storia delle lacune personali, che, in questo caso, vanno al di là della cultura.

Carlo Mars