Antonio Manzini – Sangue marcio #AntonioManzini

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esordio letterario (discretamente raro) di quell’antonio manzini consolidatosi con la solida saga del commissario schiavone.

qui i toni sono più dark delle storie ambientate ad aosta, ma la scrittura già matura e piacevole.

per quanto l’esito “giallo” della storia sia abbastanza scontato (diciamo che l’identità del serial killer – che si firma cucendo le parti intime delle proprie vittime – non è così difficile da individuare), ciò che colpisce è la capacità dell’autore di indagare il dark side delle persone apparentemente normali.

andrea sartorati

DESCRIZIONE

«Ero un bambino felice. Facevo le cose che fanno tutti i bambini felici. Questo fino al 12 ottobre 1976».
Pietro e Massimo Sini vivono un’infanzia dorata. Villa con campo da tennis, piscina, videogame Atari. Poi, una mattina del 1976 cambia tutto. La polizia arriva in casa con un ordine di arresto e si porta via il padre. “Il mostro delle Cinque Terre” lo chiameranno qualche giorno dopo i giornali. Sono passati quasi trent’anni e i due fratelli hanno preso strade differenti: Pietro ha trascorso l’adolescenza in un istituto di preti a Torino e ora fa il cronista di nera in un giornale, Massimo ha vissuto con un zio a Padova ed è diventato commissario di polizia. Ma i delitti di un serial killer che da due anni cuce con ago e filo le vagine delle sue vittime, li riavvicinano. Sembrano tutt’e due cambiati. Massimo, che da piccolo era un tipo violento che usava minacciare i suoi coetanei con la frase «vatti a nascondere in Tibet», ora è un uomo stanco e triste che beve troppi martini. Pietro invece è diventato scaltro e freddo come un serpente. Non ha storie d’amore, non ha amici. Vive per il suo lavoro. Il suo unico obiettivo è mettere suo fratello sulle tracce del serial killer e farlo diventare un eroe. Ci riuscirà?

«Manzini è un narratore […] interessato al lato oscuro dell’animo umano, a quei territori borderline che facilmente varcano il confine della normalità, ed è capace di condurre con freddezza, quasi con cinismo, il lettore nel pozzo oscuro della follia omicida, fino allo scioccante finale».
«Corriere della Sera»

Antonio Manzini, Non è stagione

amelia

il terzo volume con le avventure del commissario – vicequestore, si dice vicequestore! – schiavone conferma che dalla penna di manzini è uscito proprio un bel personaggio.

le clarks, il rito laico di una canna per schiarirsi le idee, la benevola insofferenza per una città ordinata e rispettosa delle regole come aosta, la battuta sempre pronta e un atteggiamento cazzaro tratteggiano un protagonista con cui è difficile non entrare in sintonia.

se come giallo l’episodio centrale della serie (“la costola di adamo”) rimane superiore, qui c’è un discreto colpo di scena finale che apre la strada sia ad un probabilissimo seguito, forse in un’altra sede lavorativa, che ad una prossima chiarezza sul passato comunque non limpidissimo del nostro ispettore.

fra tanti noir scritti con lo stampino e il pilota automatico inserito, questa trilogia ha il merito di portare un po’ di aria fresca. al lettore il compito di capire se pura come quella del capoluogo valdostano.

Andrea Sartorati