Il grande cielo – A.B.Guthtrie #recensione #PremioPulitzer

“Ricordi come sapeva suonare il banjo Jack Clemens accompagnandosi col canto, e la luna bassa durante i rendezvous, e quel brivido in corpo che era un brivido di felicità e di solitudine, e tutto quel whisky e quelle squaw bellissime, e il cuore leggero e non pensare mai al domani? Ricordi, Boone? Non si sapeva se gridare o ridere tanto ci si sentiva pieni. Ricordi?”

Curatore: N. Manuppelli
Editore: Mattioli 1885
Collana: Frontiere light

Poco tempo fa, nei commenti alla recensione di Warlock, è uscito questo titolo di cui si parlava molto bene, “Il grande cielo” di A.B.Guthtrie. È molto più di un western, è grandissima narrativa oltre che vincitore di Pulitzer.

Boone Caudill, ragazzo diciassettenne, fugge da casa e da un padre con cui non va d’accordo, scappa anche da una vita che vuole libera e senza legami. La sua direzione è l’Ovest, risalendo il fiume Missouri attraversa montagne, praterie  e fiumi, conducendo una vita selvaggia, vivendo di ciò che riesce a cacciare e di ciò che riesce a pescare.
Boone incontra altre persone come lui, persone che non sentono il bisogno di regole, di civiltà.
La legge è quella del più forte e solo se sei leale ottieni il rispetto altrui. In questo modo nascono fra questi uomini grandi amicizie, come si creano importanti contatti con alcune tribù indiane. È impressionante come Guthrie faccia parlare poco i personaggi, ma le poche parole dette hanno un peso enorme. Proprio i personaggi sono descritti magnificamente.
La domanda che esce dal libro è, la condizione ideale per l’uomo è questo stato di libertà ma senza legge, senza ordine, una vita fatta di istinti e di sopraffazione? Guthrie lascia un finale aperto.
Rimane la visione meravigliosa di uno sconfinato cielo azzurro che solo a leggerlo fa sentire liberi e potenti.
Libro bellissimo, le ultime 100 pagine spettacolari.

Una storia d’avventura e di crescita nel vecchio West, certo, che non si limita però solo alle vicende di cacciatori, indiani e coloni. Il tempo e come il suo passare cambi le persone e i luoghi, prima di tutto, e anche la ricerca di una propria dimensione nel mondo, un romanzo di formazione sulla vita selvaggia, rude e meravigliosa degli uomini di frontiera.

“Invecchiando, cominciava a sentire le cose in un modo diverso. Gli piaceva ancora vedere le colline e percorrere i fiumi, ma la metà del piacere era nel ricordare. Dopo che c’eri stato, un luogo non era più soltanto un posto qualsiasi. Si aggiungevano il tempo che ci avevi passato, le cose che avevi pensato, le persone con cui avevi bevuto. C’era un tempo iniziale e il posto in sé, e poi c’erano lo stesso luogo, il tempo e l’uomo che eri stato, tutti mescolati insieme, uno con l’altro”.

Raffaella Giatti

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