“Dopo un certo numero di cadute, il corpo a volte fa lo stesso rumore dei sacchi di cemento o dei libri spessi e duri tipo i dizionari, ma a volte fa anche lo stesso rumore dei bicchieri di cristallo o dei vasi di porcellana.”
Recensione pro:
Mi è piaciuto, ma ho sbagliato a leggerlo in modo troppo saltuario, frammentato, di sicuro ho perso concentrazione ed attenzione. Se possibile, consiglio di leggerlo senza interruzioni.
Perché è strutturato in modo frammentato, di suo, essendo la storia di una famiglia raccontata dai quattro componenti separatamente. Molto teatrale, sul palcoscenico viene illuminata la presenza di un solo protagonista per volta, che narra la sua visione, il posto che occupa nella sua famiglia, nel mondo, quello che prova per i suoi cari, soprattutto i suoi sentimenti e i suoi sogni spezzati. Sullo sfondo c’è Cuba, il massimo dell’immaginario dei sogni per molte persone nel mondo, per tanti anni, una Cuba in difficoltà, che resta impigliata in uno spazio tra passato glorioso e futuro impalpabile, in un presente che non sembra soddisfacente per nessuno, soprattutto perché sembra togliere la speranza, quella che è sempre stata la sua caratteristica principale. Ma il ritratto di questa famiglia alla fine diventa universale, con i suoi silenzi inframmezzati dalle esplosioni di risentimento, con i rapporti che si logorano, la fiducia che viene meno, con un certo desiderio di farla finita, con la prospettiva della morte e del dolore fisico che, alla fine, sembra far meno male di una vita trascinata e in caduta libera.
Alla fine tutto implode, non si sa se sia la caduta degli ideali di una nazione a corrompere la famiglia o se la famiglia che perde coesione a far perdere coesione alla nazione, o se tutto viaggi di pari passo. Resta il fatto che si perde il passo, che ognuno procede per suo conto, ognuno sta nella sua camera e con le cuffie, non c’è futuro, non si intravede un modo per agguantarlo, questo futuro, e si va avanti per pura forza d’inerzia, senza solidarietà.
In questo libro non è certo nascosta la critica politica. La disillusione per un sogno infranto, secondo lo scrittore, la disillusione che diventa rabbia, eravamo poveri, ci era stato promesso che avremmo ricevuto aiuto, che non saremmo più stati poveri, che la giustizia avrebbe trionfato, e invece siamo ancora poveri e non c’è più una rivoluzione da compiere. Finora ho commentato razionalmente. Poi però arriva il rifiuto del cuore, verso una visione così critica di un Paese che a molti di noi ha sempre raccontato un sogno di una vita diversa, una diversa vita possibile.
Quando i sogni crollano, quando la linfa vitale degli ideali muore, inaridisce il cuore, restano le macerie dell’egoismo, che è esattamente il passo del vivere odierno, quello che abbiamo scelto o che ci hanno imposto e che abbiamo accettato.
“Bisognava sempre assicurarsi che ci mancasse qualcosa perché l’altruismo fosse garantito.”
Musica: Cohiba, Daniele Silvestri
Carlo Mars
Recensione contro:
E’ un coro a quattro voci dei componenti di una famiglia cubana: il padre (Armando), la madre (Mariana), il figlio (Diego) e la figlia (Maria). Probabilmente ambientato negli anni novanta. E’ come un organetto di Barberia: finito il giro del rullo musicale, la sinfonia si ripete piuttosto monotona, per ben cinque capitoli, ogni protagonista che racconta ex novo piccole varianti della stessa storia, in cui forse solo il padre mantiene ancora alcuni ideali della rivoluzione e cita in continuo Che Guevara. Gli altri sono malconci, disillusi dalla vita e perdenti: Diego, ancora militare, sopravvive masturbandosi 4 volte/die (per ricetta medica?). La figlia, impiegata in un hotel, ruba quotidianamente ogni sorta di provviste alimentari. E’ la madre, epilettica, che è in caduta libera, parafrasi della caduta degli ideali della rivoluzione (Armando vede sparire Marx, Lenin, Engels). In un certo modo, ricorda il ciclo dei vinti di Verga, in particolare i Malavoglia. Con un distinguo: padron ‘Ntoni, Bastianazzo e figli sono dei combattenti, lottano duramente per sopravvivere e sono scolpiti da Verga a tutto tondo. Qui invece i personaggi sono in bassorilievo, quasi a stiacciato, evanescenti come persone, sentimenti, ideali (si salva solo Armando). Il problema è che Álvarez non suggerisce alternative e in realtà non descrive la vita reale nella Cuba del tempo in cui fa vivere i suoi personaggi. Forse era meglio sotto la dittatura di Batista o quando La Habana era il giardino delle delizie di gangsters e mafiosi USA? Può darsi che la rivoluzione sia fallita, ma va ricordato che, dopo la presa di potere di Fidel, Cuba è stata imprigionata nella ferrea morsa dell’embargo USA, finito solo in epoca Obama e subito reintrodotto da Trump. Tutto questo non è preso in minima considerazione da Álvarez, dimenticando che nella vita, se si può cadere, ci si può anche rialzare. Romanzo cupo, piuttosto noioso e penso anche lontano dalla realtà cubana odierna.
Rigus68, IBS