Pablo Montoya Trittico dell’infamia
Traduzione: Ximena Rodriguez Bradford
Area geografica: Letteratura colombiana
Collana: Dal Mondo Edizioni E/O
Tre artisti minori, tre storie che si intrecciano sullo sfondo di un’epoca, la fine del Sedicesimo secolo, segnata dal sangue delle persecuzioni dei protestanti e dalle grandi scoperte: attraverso le loro vicende, Montoya traccia un affresco privato e insieme collettivo in cui affronta temi universali come la violenza, l’amore, la religione.
Gran bel lavoro questo trittico sull’intrecciarsi delle vite di tre pittori del ‘500, non molto conosciuti: Jacques le Moyne, Francois Dubois e Theodore de Bry. Visto il titolo, tutto il libro è diviso in tre parti, una per ognuno dei pittori. Il tema della narrazione riguarda il conflitto tra le differenze (cattolici/protestanti; indigeni/europei) che diventa sterminio, pura cecità distruttrice, esercizio esaltato della crudeltà.
Per ogni capitolo viene usato uno stile narrativo differente: per le Moyne si tratta del classico racconto in terza persona, mentre nella seconda parte è lo stesso Dubois a prendere la parola. Nella terza parte si passa dalla biografia enciclopedica di de Bry al resoconto di Montoya sulle ricerche da lui effettuate per il libro.
Le Moyne parte per le Indie per documentare il viaggio di un gruppo di calvinisti intenti a fondare una colonia per conto della Francia nelle terre nuove. Questo tentativo fallisce miseramente ma i contatti intrecciati, le testimonianze sulle tradizioni indiane e le tele che le Moyne riporterà nel vecchio continente sono di grande valore storico.
Dubois invece è un ugonotto, scampato alla terribile notte di San Bartolomeo dove ha perso moglie e figlio; il capitolo a lui dedicato è un lungo rimuginare sulle assurdità dei crimini commessi in nome di Dio. Alla fine egli riesce a completare il suo capolavoro, una tela proprio di quell’evento (è anche la copertina del libro).
De Bry, infine è un incisore di Liegi. I suoi meriti sono le illustrazioni alla brevissima relazione sulla distruzione delle Indie di Bartolomè de Las Casas; le considerazioni sui delitti perpetuati dagli spagnoli vengono messe in bocca sia a de Las Casas, sia a de Bry anche se sono grossomodo pensieri di Montoya che non hanno nulla di trascendentale per un uomo del nostro tempo. (Fosse vissuto nel ‘500, ovviamente, l’avrei trovato molto avanti).
Non mi è dispiaciuto questo romanzo un po’ anomalo. Un punto di demerito alla traduttrice che (credo) abbia contribuito a rendere la lettura un poco zoppicante. Lo consiglio a chi cerca una lettura diversa (non romanzo nè racconto, non saggio ma una via di mezzo tra tutti questi generi).
Alex Amodio