Riparare i viventi – Maylis de Kerangal– 2015, pag. 218
24 ore. Questo lo spazio temporale della storia narrata. E’ la storia di un trapianto di cuore. Un cuore che migra, che vola da un uomo a una donna. Oltre a questa storia, ci sono quelle correlate. Quelle di chi muore e quelle di chi torna a vivere una vita normale. Di chi dona la vita, di chi la riceve, dei familiari dell’una e dell’altra parte, dei medici e di tutti coloro che gravitano intorno a questa donazione.
Una storia durissima, come è chiaro che sia, commovente, per larga parte, specialmente la prima metà del romanzo. In cui vengono descritti i sogni, le speranze, di cui un giovane e forte cuore è fatto. E come tutto cambia in un attimo. La morte che si impossessa abusivamente di un ragazzo e, nello stesso tempo, trasfigura mentalmente e fisicamente chi resta, i suoi genitori, la sua ragazza, i suoi amici. Sono appunto molti, i piani di lettura. Genitori, ragazza e personale medico. Ognuno recita un ruolo diverso, per certi versi opposto. C’è un terremoto che investe padre e madre, e, come ogni terremoto, non avvisa, non ti prepara. E questo è il peggiore che possa capitare ad un genitore. In pochissime ore devono decidere, prima devono accettare la morte di un figlio, e, dopo due secondi, decidere se il suo corpo debba diventare una banca di organi. E salvare altre vite. La commozione è inevitabile. Si comprende bene che il salvare altre vite viene posta come fosse una domanda ad una risposta inevitabile. Certo che sì. Lui è morto, perchè non consentire ad altri di vivere, grazie a lui? Ma un padre ed una madre spesso non possono essere tanto lucidi da acconsentire senza battere ciglio. La reazione violenta, contro il mondo, contro i medici, contro tutto e tutti, è umana. Sì, gli altri si salveranno. Ma lui? perchè lui no, perchè è toccato a lui, perchè deve esserci uno che si sacrifica e perde, e soprattutto deve essere mio figlio? E dall’altro lato i medici, gli psicologi…coloro a cui tocca il compito di essere convincenti, senza però essere cinici o insensibili. Ma è chiaro che questo ruolo resta per forza di cose più freddo, inevitabile.
E al centro di tutto questo c’è il cuore. Il cuore che per tutti resta il simbolo dei sentimenti, il centro della vita, lo scrigno dove risiedono le essenze di ognuno di noi. Quel simbolo che appiccichiamo ovunque, che disegniamo sui cellulari, sul computer, sulle magliette, sui bigliettini di auguri. Non è solo un muscolo centrale, per moltissimi di noi, ma è la nostra anima. E forse per questo ci resta difficile pensare che un altro corpo possa ospitare il nostro cuore.
L’autrice ha detto questo, in un’intervista: “In passato la morte era decretata quando il cuore cessava di battere. Oggi invece la frontiera tra la vita e la morte è segnata dall’arresto delle funzioni cerebrali. Il cuore non indica più il discrimine tra la vita e la morte, però sul piano simbolico, e soprattutto attraverso il linguaggio, conserva una funzione sovrana. Oltre ad essere una pompa meccanica, il muscolo della vita viene infatti immaginato come una sorta di scatola nera dell’individuo, in cui sono conservate la sua vita affettiva e le sue emozioni. Naturalmente sappiamo che ciò non è vero, ma inconsciamente questa immagine continua a resistere. Forse perché, nella vecchia contrapposizione tra ragione e emozioni, non vogliamo rassegnarci a pensare che alla fine prevalga la razionalità. Forse ci piace pensare che la vita sia fatta innanzitutto di affetti e emozioni”.
Lei ha voluto parlare di trapianti per diversi motivi. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, certamente, e lo ha fatto parlando con termini assolutamente tecnici, la seconda parte del libro è tutta incentrata sul trapianto stesso, sull’intervento, descritto minuziosamente, lei dice che la conoscenza genera comunque cultura, e come darle torto…ma lo ha scritto anche perchè il trapianto in sè è un dono del singolo alla collettività, il corpo di uno diventa corpo di tutti, e questo gesto ha valenza doppia, o molteplice, in un mondo dove tutti ci stiamo ripiegando su noi stessi. E’ solidarietà allo stato puro. E la solidarietà è bella, è forse la cosa più bella di tutte. Alla fine di questa storia comunque tutti i coinvolti si ritroveranno arricchiti, o comunque cresciuti, come persone, non solo la persona che ha ricevuto fisicamente un organo. Riparare i viventi. Riparare una morte donando vita. C’è tanto di antico, in questo libro, non mancano i riferimenti classici, al mondo omerico, riferimenti a come veniva affrontata la morte, non come rimozione del dolore, ma come apertura, esempio, rigenerazione.
Carlo Mars
