Emanuele Cioglia, Il registro dei grandi risentimenti

Emanuele Cioglia, Il registro dei grandi risentimenti

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A volte si impara il mestiere di famiglia e non si sa fare altro. E’ il caso di Lele, fotografo di matrimoni. Ed è il caso in cui il mestiere non lo scegli, e ti viene imposto da bambino. Lo si può odiare o amare, ma in questo caso più che in altri sicuramente ti entrerà nel dna. Lele impara questo lavoro facendo da assistente per il babbo, ed è difficilissimo immaginare di potere fare altro quando hai imparato a fare solo quello.
Negli anni 80 Lele era un appassionato di fotografia, come tanti in quel periodo e portava a sviluppare rullini su rullini anche perché si era innamorato della commessa alla quale non aveva il coraggio di chiedere di uscire. Ma poi l’amore trionfa e Lele e Serena si sposano, ed entrambi lavorano in, moderno laboratorio dove sviluppano le foto in un’ora..
Lele si occupa dei servizi matrimoniali e di riparare le macchine per lo sviluppo in un’ora. Sente l’odore degli acidi usati per lo sviluppo, continuamente, gli entrano nella testa. Odia i servizi matrimoniali. Le spose come torte nuziali, la foto sul letto, la foto con lo scambio degli anelli, il prete che ti guarda male, le foto con i testimoni, la foto con i parenti, e poi essere piazzato vicino alle casse che sparano musica a volume così alto da rompere il muro del suono perché sei una specie di elemento inevitabile come una medicina. E si lamentano che devono pure offrirti il pranzo. Anche il matrimonio ha le sue regole: c’è l’abito, la chiesa, i confetti, il bouquet e c’è il servizio fotografico punto e basta.
All’avvento del digitale il padrone del laboratorio mangia la foglia e cambia subito business. I due sposi pensano comunque di potercela fare e rilevano il laboratorio. Ma è iniziata la lenta morte del mestiere del fotografo.
E Lele si ritrova a fare servizi matrimoniali dove milioni di invitati vogliono fotografare anche loro. Il suo mestiere è sempre più superfluo. Nessuno sviluppa più le fotografie che sono diventate un file nei nostri pc.
E dove è il confine che separa tutti noi dalla pazzia? E’ un confine labile. Un giorno puoi svegliarti e non riconoscere più la tua faccia,e il mondo stesso, che conoscevi perché in un margine stretto riuscivi a compiere quelle piccole manovre che costituivano la tua quotidianità, sparisce. Sparisce quello che sapevi fare e capisci che devi cambiare lavoro ma non sai come fare. E Dio o il Diavolo ci mette lo zampino, e ti invia un segno.
Fino agli anni 90 è esistito il mestiere del fotografo: esistevano dei piccoli laboratori artigianali, dotati della cosiddetta camera oscura, dove i fotografi sviluppavano pellicole di macchine ancora analogiche. La tecnologia digitale non era ancora stata inventata. E a Cagliari negli anni ‘70 pochi laboratori avevano il colore, e le foto molte volte erano ancora in bianco e nero. Un altro mondo: i rullini, solo 12 scatti, 24, quando eri fortunato 36. E l’impazienza di ritirare quelle foto. Macchine senza il flash. Poi piano il cubo flash, il cubo a 3 flash, il flash incorporato. E capitava pure di riavvolgere il rullino e scattare sopra quello che avevi già scattato: avevi le foto con i fantasmi dietro. Il tempo in quella carta fotografica patinata veniva immortalato. Mettevi le foto nelle scatole delle scarpe e le riguardavi con la famiglia a Natale. Con l’avvento del digitale è diventato ancora più etereo e fugace, le foto sono nel pc. Non si guardano con la famiglia e raramente si stampano. Un mestiere è stato spazzato via dalla faccia della terra, e soppiantato dai pixel, e questo mondo scomparso esisterà solo nei ricordi di pochi. Ecco, questo libro, in un modo dolce e amaro parla di questo, tra risate e lacrime, di un fotografo di matrimoni. E’ un libro che fonde surrealtà e realtà, considerazioni vere e tristi, e ci lascia con sia con una risata che con gli occhi umidi.
Consiglio assolutamente di leggerlo.

Maria Bonaria Dentoni

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