E’ molto ben scritta questa novella lunga del 1894, che con il tempo si è guadagnata un posto d’onore nella Letteratura Classica dell’Horror. H. P. Lovecraft ammette di essere stato ispirato per due suoi racconti dalla figura dell’essere mostruoso presente in questo libro, e con lui si schierano Peter Straub e Stephen King. Il Re, come detto, gli dedica Revival, dove afferma che l’orrore suscitato da questa storia gli ha causato molte notti insonni. Ora, spesso io ho sentito recensioni simili da King, e quasi sempre poi compro il libro e lo trovo bruttarello, e angosciante come una polentina lessa. Però io penso sempre che Stephen King non ha avuto Stephen King a spaventarlo quand’era negli anni formativi: ha avuto altri, tra i quali per esempio il Machen, e l’orrore che si prova in certi frangenti dopo non è spiegabile. Certo, la differenza mi rendo conto è che il Re fa davvero paura, se vuole, non è solo perchè l’ho letto negli anni formativi. Mentre queste storie, a volte che volete, sono un po’ datate, la scrittura è lenta, a volte arriviamo tardi: è un autore classico del genere, ma noi lo leggiamo per la prima volta dopo talmente tanto horror in cinema e libri da esserne quasi anestetizzati. Quasi, va da sè, è la parola chiave: certe storie, anche se farraginose e vecchie, faranno sempre paura. Sono classici, e rimarranno indimenticabili in qualsiasi epoca.
Il Grande Dio Pan fece molto scalpore all’epoca (mi erano timidi come signorine, sti critici letterari), per il tema angosciante e per un certo sdoganamento della sensualità nella storia. Comincia con un dottore che si è interessato per anni all’occulto, perchè il suo scopo ultimo è trovare il modo di esplorare tutte le dimensioni presenti in questo universo. Il culmine dei suoi studi arriva finalmente nella scoperta di una operazione chirurgica al cervello di relativa importanza, ma che permette a chi ha subìto l’intervento di avere accesso alla intera visione dell’Universo creato, a quello che il dottore chiama “vedere il grande dio Pan”. Il dottore, ahimè, ha successo: l’operazione riesce perfettamente, e lo sappiamo tutti da a American Horror Story passando per Nietzsche finendo con gli Zombie che se apri una porta sull’abisso, l’abisso, o mischino, guarderà te. Come concetti così elementari non riescano a entrare nelle testone di certi dottori proprio non lo capirò mai.
Da qui si dipana dunque una vicenda lunga alcuni anni che viene descritta attraverso lettere, testimonianze e discorsi di altri personaggi. Arthur Machen è uno di quegli autori che sa bene come per fare paura non sia necessario descrivere tutto in dettaglio: a volte basta che il proprio protagonista sia così terrorizzato da orrori indicibili che anche il lettore si spaventa, principalmente usando la propria immaginazione, che è l’arma più potente di tutte.
Questo non è stato il mio caso, non mi sono spaventata nè particolarmente angosciata, anche se ammetto che qualche sguardo qua e là della protagonista mi ha causato una certa inquietudine. E’ un libro scritto bene, con una storia originale, e mi ha tenuto compagnia per qualche ora, e nonostante qualche pecca nella narrazione e nella descrizione, capisco perchè King e Lovecraft lo citino con ammirazione.
