Sempre tornare – Daniele Mencarelli #DanieleMencarelli #Mondadori

Candidato al Premio Europeo della Letteratura 2022.

Daniele Mencarelli ha scritto un romanzo vitale, picaresco e intimo, che ha dentro il sole di un’estate in cammino lungo l’Italia, l’energia impaziente dell’adolescenza e la lingua calibratissima e potente di uno scrittore al massimo della sua forma.

Mencarelli non mi delude mai, anzi da Mencarelli non riesco proprio a staccarmi, me lo porto dentro dopo la lettura, mi sembra di conoscerlo sempre di più. Così come non riuscivo a lasciar andare il Daniele “matto” del Tso di Tutto chiede salvezza o il Daniele alcolista che a sudore e sangue ne viene fuori della Casa degli sguardi, così ho faticato, anche di più, a chiudere questo libro di Daniele giovane, giovanissimo che chiude la sua Trilogia a ritroso nel tempo, con uno scavo narrativo interiore all’origine, all’origine di quella irrequietezza/sensibilità ( il ragazzo senza pareti, senza confini) che lo costituisce nel profondo. Irrequietezza che è insieme tormento e slancio vitale, profonda empatia verso tutto ciò che è umano.

La prima vacanza con gli amici nel tempio del divertimento totale sulla costa romagnola parte male per Daniele (un incidente da poco sarà per lui un vulnus irrecuperabile) così, lasciati d’impeto gli amici,farà dietro front verso casa, in un viaggio slow, sulla strada, senza soldi né documenti.

“Ho 15 giorni di tempo, tanta strada da fare”. In un Italia ferragostana, vuota e caldissima, nella ferrea disciplina dell’autostop, Daniele ci farà incontrare, con la sua empatia quasi maieutica, una galleria di personaggi indimenticabili che, a loro volta, faranno da specchio a Daniele, divideranno con lui cibo e case e, con le case, apriranno le loro solitudini.

Fame, sete, Daniele impara a chiedere e quasi sempre avrà attenzione, cura e confidenze, proprio perché è aperto, ricettivo, senza pregiudizi.

Non mancheranno gli episodi negativi: un incendio (doloso) un incidente mostruoso, una rapina, ma quello che ti rimane dentro è la resistenza al dolore, alla solitudine che anima la maggior parte dei personaggi incontrati.

E poi c’è quest’Italia centrale dei borghi e delle cittadine antiche che ci accoglie in tutta la sua bellezza, mura, ponti, torri, castelli: li vediamo con lo sguardo entusiasta e vitale di Daniele, così come i tramonti, le albe, il caldo torrido o i temporali burrascosi.

E poi c’è quella sua prosa che vira spesso in poesia e poi ritorna prosa, dipinge e descrive e sempre coglie nel segno.

Non mi accontento di un brandello di luce. Io ti dichiaro guerra, vita, io t’incendierò di significato. Oppure come fiamma brucerò verso il cielo.

Pia Drovandi

È l’estate del 1991, Daniele ha diciassette anni e questa è la sua prima vacanza da solo con gli amici. Due settimane lontano da casa, da vivere al massimo tra spiagge, discoteche, alcol e ragazze. Ma c’è qualcosa con cui non ha fatto i conti: se stesso. È sufficiente un piccolo inconveniente nella notte di Ferragosto perché Daniele decida di abbandonare il gruppo e continuare il viaggio a piedi, da solo, dalla Riviera Romagnola in direzione Roma. Libero dalle distrazioni e dalle recite sociali, offrendosi senza difese alla bellezza della natura, che lo riempie di gioia e tormento al tempo stesso, forse riuscirà a comprendere la ragione dell’inquietudine che da sempre lo punge e lo sollecita. In compagnia di una valigia pesante come un blocco di marmo, Daniele si mette in cammino, costretto a vincere la propria timidezza per chiedere aiuto alle persone che incontra lungo il tragitto: qualcosa da mangiare, un posto in cui trascorrere la notte. Troverà chi è logorato dalla solitudine ma ancora capace di slanci, chi si affaccia su un abisso di follia, sconfitti dalla vita, prepotenti

La strada – Cormac McCarthy #CormacMcCarthy

“Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri. Ecco, sussurrò al bambino addormentato. Io ho te”.
Un padre e un figlio, senza nome, senza niente che non sia il legame indissolubile che li unisce. Non esiste più nient’altro: non esiste più il mondo, la storia, il tempo, la civiltà, non esistono più le città, le case, le famiglie, non esiste più neanche il cielo – perennemente oscurato, plumbeo “come l’inizio di un freddo glaucoma che offusca il mondo”. Esiste solo la strada lungo cui spingono i loro scarsi averi – qualche coperta, il poco cibo in scatola rimasto – dentro il carrello arrugginito di un supermercato. Si spostano verso sud, verso il mare, dal cuore dell’America al Golfo del Messico, in cerca della speranza di un po’ di calore, di luce. Ma ciò che gli si apre di fronte è un oceano vasto e freddo che ha “la desolazione di un qualche mare alieno che bagna le coste di un pianeta sconosciuto. Più a largo, sulle secche create dalla marea, una nave cisterna arenata”.

In questi giorni di tensione internazionale – che personalmente mi creano davvero non pochi momenti di ansia – ieri sera verso le 23 ho avuto la (pessima) idea di prendere dalla pila dei libri sul comodino “La strada”. L’avevo acquistato, sostanzialmente alla cieca, nel corso di uno dei miei periodici rifornimenti on line, ai quali ricorro per alimentare la succitata pila.

Nel giro di due pagine sono entrato, o per meglio dire precipitato, nei panni del protagonista: ho iniziato a provare le sue paure, a condividere i suoi pensieri, le sue ansie, il suo sconforto, quindi mi sono scoperto a proiettare qusti sentimenti sul mio mondo di questi giorni, sulla mia realtà, sui miei affetti. Una cosa straziante.

Insomma ho capito come sarebbe andata a finire. Ho dovuto arrivare in fondo alle 218 pagine, ben sapendo che non sarei comunque riuscito a chiudere occhio. Alle 4.30, terminata la lettura, mi sono fatto una mezz’oretta di parole crociate per riuscire a rilassarmi un po’…

Mi sentirei un po’ ridicolo a recensire un libro già così tanto noto e apprezzato, quindi non lo faccio. Rilevo solo che nella mia vita di lettore pochi testi mi hanno preso in maniera così viscerale.

“Una volta nei torrenti di montagna c’erano i salmerini. Li potevi vedere fermi nell’acqua ambrata con la punta ambrata delle pinne che ondeggiavano piano nella corrente. Sul dorso avevano dei disegni a vermicelli che erano le mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti. Di una cosa che non si poteva rimettere a posto. Che non si poteva riaggiustare. Nelle forre dove vivevano ogni cosa era più antica dell’uomo, e vibrava di mistero”.

Stefano Martinella

Autore: Cormac McCarthy Traduttore: Martina Testa

Editore: Einaudi Collana: Supercoralli