Biglietti agli amici – Pier Vittorio Tondelli #PierVittorioTondelli #recensione

*Un libro che ti insegni qualcosa

Biglietti agli amici è sicuramente l’opera più anomala di Tondelli: ventiquattro biglietti, uno per ogni ora del giorno partendo dalla notte, raccolti inizialmente in un’edizione di sole ventiquattro copie da regalare il giorno di Natale del 1986.

Biglietti agli amici – Pier Vittorio Tondelli

Curatore: F. Panzeri
Editore: Bompiani

Ho bisogno di raccontarlo a qualcuno e voglio farlo ora. È libro da quasi 140 pagine ed è stranamente costruito come una creatura Frankestein, rappezzato e cucito in tutte le sue parti diverse insieme. Si presenta come una serie di “biglietti” scritti per gli amici da inviare per la notte di Natale del 1986, ma in realtà sono scritti dall’autore per sè stesso, e spaventosamente, qualche volta, io come lettore mi sono sentito chiamato davvero per nome da Tondelli. E’ uno scrittore che scrive per fare il punto sulla sua anima tormentata, e anche se l’intento che viene dichiarato dal curatore è quello aforistico, come nel Così parlo Zarathustra di Nietzsche o lo Zibaldone di Leopardi, l’effetto che ho riscontrato è quello poetico. Perché ogni parola e ogni pausa nel discorso sono evocativi, e invitano a rileggere ancora e ancora per fissare nella ment ogni riflessione e pensiero scaturiti.

Non potrebbero costituire, nella loro secchezza e lapidarietà, ardenti reperti cerebrali della nostra comune situazione di abbandonati. Di abbandonati dalle cose, dal mondo, da noi stessi? Non potrebbero esprimere anche la umana condizione di “stare soli, sotto il sole, a dimostrare che siamo senz’ali? E che niente ci protegge dall’Amore”.

A ogni biglietto corrisponde un’ora del giorno o della notte, e nel frontespizio compare una specie di almanacco angelico/zodiacale in cui l’autore riporta quale angelo presiede all’ora del giorno o della notte, a comporre quindi una sorta di calendario interiore, una mappa del profondo. Non ho capito l’uso dell’almanacco angelico/ zodiacale, magari qualche appassionato me lo può spiegare, mi farebbe piacere. Per il resto, sono riflessioni sul senso del viaggiare, sul dolore dell’abbandono, sulla necessità di imparare ad amare, un altro ma anche se stessi, per superare ogni crisi. Volevo citarvi il biglietto dell’ottava ora della notte, quello che mi ha convinto a comprarlo, magari già lo conoscete (sono io che vivo fuori dal mondo):
“Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quest’abbraccio e non chiedere altro perché la sua vita è solo sua e per quanto tu voglia, per quanto ti faccia impazzire non gliela cambierai in tuo favore. Fidarsi del suo abbraccio, della sua pelle contro la tua, questo ti deve essere sufficiente, lo vedrai andare via tante altre volte e poi una volta sarà l’ultima, ma tu dici, stasera, adesso, non è già l’ultima volta? Vedere il lato bello, accontentarsi del momento migliore, fidarsi di quando ti cerca in mezzo alla folla, fidarsi del suo addio, avere più fiducia nel tuo amore che non gli cambierà la vita, ma che non dannerà la tua perché se tu lo ami, e se soffri e se vai fuori di testa questi sono problemi solo tuoi; fidarsi dei suoi baci, della sua pelle quando sta con la tua pelle, l’amore è niente di più, sei tu che confondi l’amore con la vita”.

Stefano Lillium

Sulla pagina internet di Baskerville dedicata alla prima edizione di Biglietti agli amici è scritto così: «Se volete leggere, quindi, i biglietti che Pier Vittorio ha inviato, nel Natale nel 1986, a 24 suoi amici, comprate pure l’edizione di Bompiani, ma leggete quei testi come se fossero 24 foglietti di carta, scritti a mano, intimi e privati, come le parole che si scrivono, in codice, solo a chi le può capire».

In quel dicembre a Berlino, nella tua casa di Köpenickerstrasse io volevo tutto. Ma era tutto, o solo qualcosa, o forse niente? Io volevo tutto e mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa

(Seconda ora del giorno, Biglietto numero 14)

Incidente notturno – Patrick Modiano #recensione #patrickmodiano

…tanti visi colti per un istante che brilleranno nella memoria con uno scintillio di stelle lontane per poi spegnersi il giorno della nostra morte senza aver rivelato il loro segreto.

Di notte, a Parigi, un giovane viene investito da un’auto (una Fiat color verde acqua) guidata da una giovane donna. L’investitrice lo soccorre e lo accompagna all’ospedale, forse assieme ad un compagno, un signore bruno, distinto… poi il risveglio in una clinica, odore di etere, ricordi confusi.
Il giovane, senza nome, con addosso qualche traccia delle ferite subite e un fascio di banconote lasciate dalla coppia assieme ad un verbale dell’incidente, inizia a girovagare per la città, senza un preciso obiettivo, con un’unica traccia del nome dell’investitrice, avvolto in una specie di nebbia emotiva e psicologica, accompagnato da frammenti di immagini, ricordi che affiorano, e l’odore di etere ereditato dal soggiorno in clinica e usato per dormire e lenire il dolore. In un clima da romanzo giallo, vaga per i quartieri di Parigi, ambienti colti in suggestive immagini preferibilmente notturne, come in un film d’Autore girato in bianco e nero. Nel vagabondaggio qualche squarcio della sua storia, di un padre poco amato, forse losco, una madre assente, una ragazza con cui per un certo periodo si accompagna e poi scompare improvvisamente e qualche indizio che gli fa affiorare il ricordo di un incidente simile avvenuto da un’altra parte quando era più piccolo e forse un incontro con la stessa persona che lo ha investito… Una storia breve, intensa e incalzante, la propria vita come un puzzle di cui non si riesce a venire a capo, i pezzi che non si incastrano, incontri misteriosi e incompiuti, sentimenti che galleggiano dentro senza mai affiorare definitivamente. Personaggi che sono ombre o di cui si intravvedono solo elementi parziali e non risolutivi per dare un senso compiuto alle relazioni avviate…
E poi alla fine l’incontro e il ritrovamento della donna e forse la possibilità che l’incidente diventi un destino.

Non ho letto molto di Modiano, conosciuto, soprattutto fuori dalla Francia, solo dopo aver vinto il Nobel 2014 e forse è uno degli autori per i quali vale più di tutto l’idea che un autore in fin dei conti scrive sempre lo stesso libro: per lui è la ricerca di una identità perduta, la necessità di risalire con fatica il filo delle proprie vicende, dei propri luoghi per dare un senso compiuto a quello che non sembra avere senso. Forse perfino ossessivo e ripetitivo nelle sue tematiche ma ricco di suggestione e capacità evocativa dello scorrere del tempo.

“Ma no, non ho nulla da nascondere… la vita è molto più semplice di quanto tu non creda”.

Renato Graziano