Colum McCann, This side of brightness (I figli del buio)

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Non mi ha “preso” subito; letti i primi due capitoli, son tornata sui miei passi e l’ho ricominciato da capo, ripartendo dalla copertina, ma forse era solo colpa mia, dei miei pensieri vaganti. Poi, un po’ alla volta, ci sono caduta dentro, letteralmente. E’ un romanzo geometrico, di corrispondenze anche un po’ schizofreniche, sul ventre di New York, ma anche sul suo skyline, sulle radici di quel melting pot e delle sue tensioni. Ci succede un po’ di tutto, talmente tanto che vien da chiedersi se non sia un po’ troppo, ma alla fine è un condensato di quel che è la vita di alcuni: shit happens. Si torna a riveder le stelle, ce l’ha detto Dante, e allora s’ha da credergli, ma chissà.
Certe descrizioni della Georgia – cosa c’entra la Georgia con New York? beh, se ve lo dico, devo dichiarar lo spoiler, e non voglio – valgono tutto il libro; certi pensieri fulminanti stordiscono nella loro perfezione semiotica e linguistica; il racconto dell’amplesso più inatteso e più innamorato che mi ricordi è forse il passaggio più riuscito. Ecco: m’è piaciuto assai.
(La traduzione italiana è edita dal Saggiatore e da Rizzoli-BUR con il titolo “I figli del buio”)

Maria Silvia Riccio