Le ansie carnivore del niente – Alejandro Jodorowsky #jodorowsky

LE ANSIE CARNIVORE DEL NIENTE – Alejandro Jodorowsky
GIUNTI EDITORE, 2010

Tre misteriosi personaggi dal cappello nero attraversano una lunga e stretta striscia di terra affacciata sul mare e pressata dalla cordigliera chiedendosi chi sono, perseguitati dalla mistica e politica figura di un capo supremo – il Generale – che parla solo in poesia tramite oscuri e onnipresenti televisori disseminati ovunque. Sono Angeli forse, arrivati su quella terra devastata dalla dittatura solo per salvarla? Sono forse invece degli Assassini con l’incarico di uccidere le ultime frange insurrezionali contro il Generale, o semplicemente delle Ombre, dei Morti, dei Sogni?

“Prima che una lotta nella realtà, la Cospirazione è una dimensione dello spirito.”

Il testo si muove su un linguaggio fortemente surrealista, carico di immagini e di espressioni ora poetiche, ora forti, così come i contenuti sono spesso molto espliciti e ancor più spesso oscuri da decifrare. Sebbene, infatti, riferimenti culturali e storici siano noti (la dittatura militare di Pinochet, la prima edizione risale agli anni ’70), mi sono sfuggiti tanti contenuti e alcuni nessi per me sono risultati del tutto incomprensibili. Per questo motivo avrei gradito delle note esplicative e mi dispiace essere consapevole di non aver colto pienamente il senso di un “romanzo culto in tutto il Sudamerica (negli anni 70)”.

Ciononostante è una lettura affascinante, ipnotica, che procede con un ritmo ieratico e inquietante; si respira un profondo senso di dolore del popolo cileno oppresso dalla dittatura e a tratti affiora anche un certo senso ironico e beffardo nei confronti di un personaggio così vuoto come Pinochet (con le sue manie e fisse) che dalla TV proclama e delira al suo popolo come un dio paranoico.
Bellissimo l’episodio che fa riferimento alle mogli dei minatori di salnitro e la figura mitologica del condor che si staglia tra un capitolo e l’altro come un filo rosso su cui si dipana la trama.

(gli intellettuali) “Vivono in ciò che si dice e non in ciò che è. 
Le parole sono solo una barca che serve ad attraversare il fiume e a permettere di sbarcare sull’altra sponda. 
Si dimenticano della meta e restano a vivere per sempre sulla barca”.

Silvia Loi

BELLISSIMO – Massimo Cuomo #MassimoCuomo #recensione

Insomma, un santo, questo è diventato il piccolo Miguel. E questo pensa Maria Serrano mentre Vicente Moya la afferra senza riguardo, la trascina con sé sul tappeto, nella processione, in mezzo alla gente che grida, incontro alla festa che comincia. “E adesso?” – le viene da dire guardando il marito, che non la sente nemmeno, per chiedere cosa sarà della serata, e cosa della loro vita.

Bellissimo – Massimo Cuomo
Editore: E/O
Collana: Dal mondo

Quando si dice…”essere un talento vero”.
Uno scrittore che riesce a cambiare completamente registro (e quando dico completamente intendo proprio “completamente”) rispetto al suo romanzo precedente (“Piccola osteria senza parole“), mantenendo non solo una forte credibilità, ma dimostrando una capacità di reinventarsi che non è affatto comune, né scontata.
È passato dalla chiusa, burbera e silenziosa provincia veneta alla dolce, sensuale e musicale provincia messicana, dagli avventori (e bestemmiatori) del “Punto Gilda”, pronti a diffidar dello “straniero”, agli abitanti di Mérida, aperti e sognatori.
Può uno scrittore italiano riprodurre quell’atmosfera lenta, soffusa, a metà strada tra il reale e il surreale, tra il terreno e il divino, tipico del realismo magico sudamericano?
Sí, può… e si chiama Massimo Cuomo.
Un realismo magico made in Italy che non ha nulla da invidiare ai suoi creatori e che su di me produce un effetto “rallentante”: il tempo (anche quello della lettura) diventa sospeso, più lento e palpabile, quasi io possa toccarlo, fermarlo, dilatarlo a mio piacimento.
Forse perché adatta i battiti del cuore al dolce dondolio di un’amaca, forse perché, fondamentalmente, non vorrei uscire da questa atmosfera fatta di polvere e luce, da questa storia che ha tanto il sapore della leggenda.

La mattina di San Cristóbal ha i rumori del mercato, il profumo nell’aria fresca di pannocchie arrostite e carne soffritta in sughi piccanti. Miguel muove a piedi verso il centro del paese, lungo vie di ciottoli diritte che salgono e scendono in dolci declivi, abbandonandosi al languore che sente attorno e dentro di sé, per vie bordate di muri dipinti, fermandosi ad assaggiare qualsiasi cosa se un colore oppure un odore lo attraggono, in posadas dai tetti rossi animati di chiacchiere e musica, fra venditori ambulanti di peperoncini, papaya, fagioli secchi e farina.

È la storia di Santiago e Miguel, due fratelli che hanno dovuto fare i conti con la bellezza di uno dei due, tanta bellezza… anzi, “demasiada belleza” (troppa).
Bellezza che separa, allontana, distrugge, ma anche unisce.
Bellezza che si prende tutto, bellezza che toglie…
Quando nasce Miguel tutta la città di Mérida impazzisce per lui, affascinata dalla sua perfezione, attratta da questo bambino così bello da essere considerato quasi “divino”.
Mérida femmina, Mérida innamorata…
E Santiago non ce la fa, proprio non ce la fa ad andare alla velocità di questo fratello che si mangia la vita a morsi, che possiede una curiosità e un coraggio che lui non ha, una sfrontatezza che si ciba degli sguardi che tutti, donne, uomini e persino animali, hanno per lui.
Santiago che arranca, Santiago sempre indietro, di lato, fuori dalla scena.

Un romanzo dal titolo molto rischioso, che si può prestare ad un gioco di parole facilissimo e molto scontato (“Bellissimo” è bellissimo) o restare clamorosamente schiacciato dal suo ossimoro (“Bellissimo” è bruttissimo).
In entrambi i casi siamo di fronte a dei superlativi assoluti.
Come Santiago e Miguel.
Cuomo ha rischiato, è stato coraggioso ed ha vinto, puntando tutto sul superlativo giusto.

Dietro al vetro c’è la faccia di Miguel, zero giorni.
Davanti al vetro c’è la faccia di Santiago, cinque anni.
La sua espressione stupita si riflette sulla vetrata insieme al neo sulla sua guancia destra. Come il bottone di una camicetta. Come il punto di un punto di domanda. E la domanda che pensa Santiago, osservando il fratellino nella culla oltre il vetro, è una soltanto: «Perché è così bello?».

Antonella Russi