David Copperfield, Charles Dickens

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Finito primo tomazzo dell’anno che, se vogliamo andar per cumuli, fa davvero una bella tombola (credo punti 1, 2, 3, 13, 16, 23, 42, 44…)

In ogni caso la traduzione è di Cesare Pavese. Il che ha un suo certo peso specifico.
Fermo restando che sentivo il bisogno di un libro di spessore, e non parlo solo del numero di pagine, che adoro Dickens dal più profondo del cuore e che uscivo da una crisi astinenziale di un paio di mesi, aprire il libro e scorrere le prime due righe è stato un balsamo per l’anima. Leggete insieme a me:

“Se mi accadrà di essere io stesso l’eroe della mia vita o se questa parte verrà sostenuta da qualche altro, lo diranno queste pagine.”

Non so, m’è parso di chiudere gli occhi e riaprirli su un mondo altro, come puntualmente mi accade con questo autore, un po’ perché amo le storie dalla “gustosa futilità dell’intreccio”, come le definisce lo stesso Pavese nel commento all’opera, un po’ perché smanio d’esser scaraventata tra le strade di una fumosa Londra ottocentesca, un po’ perché, e devo ammetterlo, qui la parte del traduttore è stata, più che in altri casi, una vera manna dal cielo. L’italiano utilizzato come l’ho letto qui, ti rappacifica col mondo e con la letteratura. Non sono snob, sono innamorata.

La storia in sé si dipana in puro stile Dickensiano – l’autore stesso lo definisce il suo lavoro più amato – tra una miriade di personaggi più o meno via di testa (bene o male di davvero dritto non ce n’è uno!) e apre finestre su finestre che, grazie a dio, vengono perfettamente richiuse al termine del romanzo.

Ecco, io amo i libri compiuti, quelli dove le cose vengono spiegate, dove i misteri si risolvono, dove non mancano morte e dolore, per carità, ma alla fine l’intreccio si streccia e io arrivo a vederci chiaro.
Mi sono astenuta dal commentare il superconsigliato e intoccabile caposaldo del Re, L’Ombra dello Scorpione, dove per l’appunto ho patito le pene dell’inferno perché non si capisce ‘na mezza cippa di cosa sia veramente successo, di cause, origini, tutte quelle robe là. Ammetto che in qualche occasione la forma narrativa della sospensione, del finale aperto, possa esercitare un suo certo fascino, tuttavia trovo grandissimo piacere nel riprendere fiato in opere compiute come, per l’appunto, il David Copperfield. Vivano i classici!

Sara De Paoli

Elisa Ruotolo, Ovunque, proteggici

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Eccomi!
Già in lettura del prossimo titolo, per la cronaca Educazione Siberiana di Lilin (qualcuno sa dirmene qualcosa?!), provo a spendere due parole sui pinocchietti qui sotto.

Folgorata sulla via di Damasco da una recensione che di questo libro diceva contemporaneamente tutto quello che vorrei sentir dire di un romanzo che mi appresti a leggere e di quello che avrei sempre voluto saper scrivere.
Potevo lasciar correre? La recensione in questione, peraltro, terminava con una mesta previsione: Cara Elisa, non t’abbattere, non ti comprerà nessuno, sei troppo brava, troppo oltre, la gente cerca roba più semplice. E tu lettore, smentiscimi: va’ in libreria e compra sto libro, essù andiamo forza!

Finalista alla prima tornata del premio Strega 2014, di “Ovunque, proteggici” si diceva uscisse dalla mente di una giovane scrittrice come se ne sente il bisogno e non si trova rappresentanza adeguata, in un italiano tanto perfetto, cesellato, limato e amato da ricordare i fasti andati di autori come D’Annunzio e che il filone un po’ trito e sfruttato della saga familiare passasse in secondo piano, quasi un escamotage, una giustificazione qualunque finalizzata all’espressione sublime e perfetta della lingua che l’autrice ci regala.

Ora, io lo consiglio assolutamente. L’ho divorato in un solo giorno di lettura. Però però… a me la scrittura è parsa, soprattutto all’inizio, mentre tentavo di entrare in confidenza col testo, un po’ pesante, a tratti forse perfino pretenziosa, ci vedevo proprio la Ruotolo che ci si specchiava e ci si beava dentro. Mi verrebbe da definirla densa, anche se non sempre in senso positivo. Un po’ alla volta ci si fa il callo (non che ci somigli minimamente, ma mi viene da accostarla alla fatica che si può fare con l’assenza di punti fermi di Gadda o di qualche Saramago, non so se rendo) e tutto scorre più facilmente, a farla da padrone restano la storia e i suoi protagonisti, completamente fantasmi o totalmente di sangue carne e dolore. Non ci ho trovato vie di mezzo.

Il lieve e sottile giallo che serpeggia nascosto tra le righe e di cui non si coglie nemmeno l’esistenza fino alla fine del romanzo, lo colora un po’ e gli offre l’occasione di un finale al sapor di riscatto, anche là forse un pochino scontato.

Ma nel complesso, forse e soprattutto se non avvelenati in partenza da aspettative e pregiudizi, un libro che consiglio, ben scritto ed estremamente piacevole.

Sara De Paoli