“Ma che patria è quella che prende un uomo giovane e sano e lo spedisce al fronte come una bestia poi lo rimanda indietro come un pezzo di roba inutile che non può più lavorare. E si aspetta che sua moglie si occupi di lui per il resto dei suoi giorni.”
Romanzo ispirato a un fatto realmente accaduto intorno agli anni ’20 in una remota regione agricola dell’Ungheria, una manciata di paesini, negli anni successivi alla Grande Guerra. Gli uomini tornano dal fronte o dalla prigionia: sono ammalati, provati da anni di combattimento. Credono di trovare tutto come lo avevano lasciato, come era sempre stato per centinaia di anni.
Ma non è così.
Gli uomini erano grandi bevitori, violenti, trattavano le loro mogli con nessunissimo rispetto; i maschi erano gli indiscussi padroni in famiglia e, una volta svolti quei pochi lavori ritenuti troppo pesanti per le donne, andavano a passare le serate in osteria dove, oltre a giocare a carte, si ubriacavano e diventavano ulteriormente brutali e maneschi. E alla fine una cinquantina di persone, quasi tutti uomini, furono avvelenati con l’arsenico dalle loro mogli, madri, figlie, aiutate dall’ostetrica del paese che ricorse a questo metodo definitivo per eliminarli.
Detta così è sicuramente semplicistico, ma la vita delle contadine deve essere stata terribile, non avevano nessuno che prendesse le loro parti. Il metodo è discutibile, ma anche la condizione femminile lo era. Nessuna giustificazione ovviamente. Furono comunque processate e condannate. Delle donne accusate, venti vennero ritenute colpevoli. Sei di queste vennero condannate a morte e le rimanenti a pene detentive. Nei casi in cui erano trascorsi troppi anni dal delitto, la colpevolezza non poté essere provata e molte responsabili sfuggirono al castigo. Gli uomini e una guerra incomprensibile che ha portato via braccia alla terra restituendo spesso solo avanzi, una guerra che ha mutato tutto. Ma quel periodo ha dimostrato alle donne rimaste a casa la propria capacità di sopravvivere. Non sono femmine fatali, ma contadine, spesso invecchiate precocemente, nei loro vestiti dignitosi e poveri.
È un bel romanzo, con personaggi ben delineati e una bella prosa .
Maria Fagyas nacque in Ungheria nel 1905, fu scrittrice e sceneggiatrice, nel 1937 col marito, anche lui sceneggiatore, si trasferirono negli USA , dove rimasero per lavorare nell’industria cinematografica.
Raffaella Giatti