Sorgo rosso – Mo Yan #SorgoRosso #MoYan #recensione

Sorgo rosso per nutrirsi
Sorgo rosso per dissetarsi
Sorgo rosso su villaggi in fiamme
Sorgo rosso sui cadaveri di soldati, donne e bambini.

Sorgo rosso è un romanzo storico dello scrittore cinese premio Nobel per la letteratura Mo Yan, pubblicato originariamente in cinque parti tra il 1985 e il 1986, in unico testo nel 1988, ed in Italia nel 1994 dalle Edizioni Theoria. Il libro narra con toni epici la storia di un anomalo clan familiare della regione cinese di Gaomi.

Nel 1987 dal libro (più precisamente dalle due prime parti) è stata realizzata una trasposizione cinematografica dal regista Zhāng Yìmóu. Il film partecipò nel 1988 al festival internazionale del cinema di Berlino vincendo l’Orso d’oro, lanciando la carriera del regista e della protagonista femminile Gong Li.

Il sorgo rosso è una pianta che cresce in alcune regioni della Cina, nella prima metà del secolo scorso era la principale fonte di sostentamento di quei popoli.

Sorgo rosso di Mo Yan è un epico romanzo storico e la leggendaria epopea di una famiglia di produttori di vino. Copre uno spazio temporale di circa 15 anni: dal banditismo degli anni Venti, alla cruenta invasione giapponese degli anni Trenta e Quaranta, fino al periodo che precedette la Rivoluzione culturale. Il narratore, l’ultimo rampollo della dinastia protagonista, racconta le gesta dei nonni paterni e dei suoi genitori, partendo da suo nonno, Yu Zhan’ao, bandito e poi imprenditore e infine comandante dei battaglioni di resistenza all’invasione della Manciuria da parte dei giapponesi, nella guerra Sino-giapponese.

Il racconto alterna momenti di poesia, di suggestiva tradizione, di incantevole romanticismo, a episodi di brutalità e violenza. Non mancano le riflessioni filosofiche e la prossimità fisica e spirituale tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.

Il romanzo non è una lettura facile se non siamo allenati ai tempi della letteratura orientale ma anche se ho avuto più di qualche difficoltà nel portarlo a termine alcune immagini non potrò mai dimenticarle.
Nel romanzo troverete: guerra, vendetta, amore, passione, morte, tanta morte; la più spietata delle morti, con descrizioni che vi faranno accapponare la pelle.
Sorgo rosso per me è stato soprattutto, il trionfo dell’odio sull’amore in tempi di guerra, e la dimostrazione che ciò che motiva l’essere umano in determinati contesti sono il desiderio di vendetta e morte dei nemici. E il sorgo rosso è sempre lì a ricordare l’importanza delle radici nella contemporaneità degli eventi, “il passato sempre immortale e il presente sempre inarrestabile”.

. “Gocce d’acqua argentee cadevano oblique sui fusti tremanti. Nei campi, sottili germogli di sorgo giallo chiaro, fioriti fuori stagione, si mescolavano ai vecchi fusti caduti, alla pioggia e alla nebbia. L’odore dei germogli verdi si mescolava all’odore di marcio dei fusti spezzati, al lezzo dei cadaveri, al fetore dell’urina e degli escrementi dei cani. Mio padre e gli altri avevano di fronte un mondo terribile, sporco, in cui prosperava una vitalità malvagia.”

Daniele Bartolucci

Lettere da Yerevan – Giorgio Macor #GiorgioMacor #NeosEdizioni #recensione

L’ odissea di una famiglia armena che nel 1946 insegue un’idea di patria, emigrando nella Yerevan sovietica. L’impatto con la terra promessa però è amaro. Le lettere tra i due fidanzati Maral e Kevork, che dopo la partenza di lei si trovano sulle sponde opposte della guerra fredda, diventano testimonianza di un sogno d’amore e di un momento poco conosciuto della diaspora armena.

Lettere da Yerevan – Giorgio Macor

Editore: Neos Edizioni Collana Le nostre storie

Gregorio Kirkan, quando ancora era bambino, aveva chiesto che cosa significasse il suo secondo nome, e gli avevano detto che corrispondeva al primo ma nella lingua del padre. Così aveva saputo che suo padre era armeno… Qualche anno dopo aveva saputo anche che Kirkan non era il nome di un nonno, ma di un non meglio precisato migliore amico del padre, quando egli ancora viveva nella sua terra natale, che non era l’Armenia… bensì il Libano.

Dall’esilio di Beirut alle stazioni intermedie di Batumi e Tbilisi in Georgia fino all’approdo agognato di Yerevan: sono le tappe che ripercorre il protagonista Gregorio sulle tracce di un mistero lasciatogli in eredità dal padre Kevork, sotto forma di una raccolta di lettere scambiate con l’innamorata Maral, sorella dell’amico fraterno Kirkan. E proprio Kirkan è il secondo nome attribuito a Gregorio da suo padre: un mistero che affonda la sua radice nella diaspora armena, generata dal genocidio perpetrato dall’impero ottomano nel 1915, che sembra trovare una tardiva e parziale ricompensa con la disponibilità offerta da Stalin ai profughi di ritrovarsi nella loro vecchia capitale Yerevan dopo la seconda guerra mondiale. Investigando sulle vicende private delle due famiglie amiche di Kevork e Kirkan che decidono in modo difforme nella risposta all’appello russo, e che sono il paradigma di tante storie simili dimenticate o sconosciute, Gregorio ricostruisce la storia di un amore incompiuto fra suo padre e Maral percorrendo a ritroso il calvario di attese deluse, speranze frustrate ma anche la grande dignità di un popolo oppresso e illuso dalla madre Russia. L’autore accompagna con affetto ed empatia i suoi protagonisti riservando a Gregorio un’ipotesi di amore simbolicamente riparatore delle fratture emotive vissute dal genitore, e con il grande merito di ricordarci il sacrificio di un popolo troppo spesso dimenticato nella sua sofferenza e che dopo la tragedia subita ad inizio ‘900 è stato ulteriormente illuso e tradito da chi si proponeva come suo salvatore.

Renato Graziano