
Racconto, romanzo…
“Il racconto è una misura molto bella. Il romanzo è disponibile, lo si può cominciare e poi lasciare, è come avere una casa propria. Il racconto è un appartamento in affitto, se uno se va lo perde. Il racconto ha bisogno di un lavoro di oreficeria.”
(Antonio Tabucchi)
“Non c’è nessun legame tra racconto e romanzo. Perchè la short story è una narrazione dove nel momento in cui il narratore termina, allora comincia il sogno”
(Julien Green)
“Per scrivere un romanzo, mi sembrava, uno scrittore dovrebbe vivere in un mondo dotato di senso, un mondo in cui poter credere, da poter mettere a fuoco per bene e su cui poi scrivere accuratamente. Un mondo che, almeno per un certo tempo, rimanga fisso in un posto. Inoltre, dovrebbe esserci una specie di fiducia nella correttezza di quel mondo. Fiducia nel fatto che il mondo conosciuto abbia una ragion d’essere, e che valga la pena di scriverne, che non vada tutto in fumo mentre lo fai.”
(Raymond Carver)
“C’è questa cosa che ha detto Carver, che un racconto è come osservare la vita di una casa da fuori, attraverso una finestra, mentre un romanzo è come abitarla, la casa, entrare e frugare nei cassetti.
(Fabio Geda)
E si vede che a me piace abitarle le case, e solo ogni tanto sbirciare attraverso le finestre…
Si esce e si chiude la porta
senza pensarci. E quando ci si volta
a vedere quel che si è combinato
è troppo tardi. Se vi sembra
la storia di una vita, d’accordo.
Pioveva. I vicini che avevano la copia
della chiave erano via. Ho provato e riprovato
le finestre del pianterreno. Fissavo
il divano, le piante, il tavolo e le sedie.
lo stereo all’interno.
La mia tazza di caffè e il posacenere mi aspettavano
sul tavolo col piano di cristallo e il mio cuore
era con loro. Li ho salutati: Salve, amici !,
qualcosa del genere. Dopotutto
non era un grosso guaio.
Me ne sono capitati di peggio. Stavolta
era perfino un po’ buffo. Ho trovato la scala.
L’ho presa e l’ho appoggiata alla casa.
Poi mi sono arrampicato sotto la pioggia fino al balcone,
ho scavalcato la ringhiera
e ho provato ad aprire la porta. Chiusa a chiave,
naturalmente. Ma mi sono messo a guardare dentro
lo stesso, la scrivania, le carte e la mia sedia.
Questa era la finestra davanti
alla scrivania da cui alzo gli occhi
e guardo fuori quando sto seduto là dietro.
E’ molto diverso dal pianterreno, ho pensato.
E’ tutta un’altra cosa.
Ed era proprio forte guardare dentro così, senza esser visto,
dal balcone. Essere lì, dentro, eppure non esserci.
Non credo neanche di poterne parlare.
Ho accostato la faccia al vetro
e mi sono immaginato là dentro,
seduto alla scrivania. Che alzo lo sguardo
dal mio lavoro ogni tanto.
E penso a qualche altro posto
e a qualche altro tempo.
Alla gente che amavo allora.
Sono rimasto un minuto lì, sotto la pioggia.
Mi consideravo il più fortunato degli uomini.
Anche se mi ha attraversato un’ondata di dolore.
Anche se mi vergognavo violentemente
del male che avevo fatto all’epoca.
Ho spaccato quella bellissima finestra.
E sono rientrato.
Raymond Carver – Chiudersi fuori e poi cercare di rientrare
Lazzia