Gilberto Severini – A cosa servono gli amori infelici #GilbertoSeverini #AmoriInfelici

a cosa

Non mi ricordo chi di voi l’ha postato o ha postato la recensione di un articolo di giornale, fatto sta che ero scettico e mi sono ricreduto sul mio scetticismo.
L’autore scrive con uno stile desueto, volutamente anticheggianti, aristocratico a tratti, ma credo sia il suo modo per tratteggiare il personaggio, la sua firma insomma. Un altro aspetto che mi ha spiazzato è l’assenza di un finale: il protagonista infatti ammette più volte che per paura della delusione ha evitato molte volte gli addì e i finali in generale, facendo finta che non stesse succedendo niente e così anche questo libro è senza un finale. In altre circostanza mi sarei arrabbiato con l’autore, Qui invece ho apprezzato la scelta.
La storia è davvero infelice, come annuncia il titolo: un uomo che nella vita ha sprecato il tempo in un lavoro che non amava, che ha mancato tutte le occasioni d’amore, un po un vigliacco, che ora una malattia al cuore sta rovinando sempre più. Una pianta inaridita più che una persona, che scopre il suo essere inaridito con anni di ritardo e si chiede se per lui c’è ancora una seconda chance.
Quando è troppo tardi per vivere la propria vita?
L’autore non risponde e ci invita a rispondere da soli alla domande di senso che affiora alla fine di queste righe.
Che dire: grazie a chi di voi lo postó a suo tempo.

Stefano L.

DESCRIZIONE

Alla vigilia del nuovo millennio, un uomo si ammala e deve subire un delicato intervento chirurgico rinviato per un esame preliminare andato male. Nella lunga attesa decide di non ricevere visite. Preferisce passare il tempo leggendo e prendendo appunti per un ipotetico libro che non ha mai trovato il tempo o la voglia di scrivere. Scrive anche tre lettere fondamentali. A un suo collega d’ufficio. A un sacerdote che lo ha amato e da cui è scappato. A un misterioso personaggio senza nome, una specie di alter ego, vero o inventato, con cui ha creduto di parlare per tutta la vita. In queste tre lettere l’uomo racconta incontri ed eventi fondamentali nella propria esistenza, svela retroscena, e allo stesso tempo riflette sulla storia del proprio paese: il mitico e mancato ’68, il lavoro odiato, le contestazioni al teatro di parola alla fine degli anni Settanta, i desideri fuggiti, gli amori infelici vissuti e suscitati, la rivoluzione tecnologica. Un percorso accidentato, ironico, doloroso accompagnato da un dubbio: “Ho trascurato davvero la parte migliore della vita?”

La chiave a stella – Primo Levi

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Escono tesori dimenticati durante il lavoro di tengo-regalo; doppiamente dimenticati perché sepolti in qualche mensola di difficile accesso e perchè letti grossomodo nel paleolitico superiore.
E così ecco tornare a me Libertino Faussone, montatore, che triga e briga e s’arrampica e gira il mondo e ha tutta una sua meravigliosa filosofia ed etica del lavoro che oggi ce la sognamo.

“Io credo proprio che per vivere contenti bisogna per forza avere qualche cosa da fare, ma che non sia troppo facile; oppure qualche cosa da desiderare, ma non un desiderio così per aria, qualche cosa che uno abbia la speranza di arrivarci.”

stefania lazzìa

DESCRIZIONE

La chiave a stella è un romanzo di Primo Levi pubblicato nel 1978, che rinnova il filone della letteratura industriale in voga negli anni Sessanta. Con quest’opera Primo Levi si aggiudica il Premio Strega del 1979.

In essa si narrano le imprese di un operaio specializzato, Libertino Faussone, detto Tino, che le racconta a un amico scrittore. L’operaio lavora in proprio e viene chiamato in tutte le parti del mondo, dove fa esperienze e vive avventure che a volte mettono a repentaglio la sua vita per la durezza del lavoro, sempre con i suoi attrezzi da montatore e la fiducia nelle proprie capacità. Faussone è una sorta di personaggio epico che lotta contro le forze della natura con il solo bagaglio delle sue esperienze e delle sue abilità.

Per questo La chiave a stella è un romanzo ottimista: Levi in questo suo primo romanzo di invenzione dimostra una straordinaria fiducia nell’uomo.

Il lavoro in questo romanzo è un attributo positivo per l’uomo: l’uomo che fa, che agisce, realizza se stesso ed è con il lavoro che si nobilita anche nella sua parte spirituale. Faussone, uomo del fare, dimostra, raccontando al narratore, una profonda conoscenza degli uomini e una grande intelligenza riflessiva.

In queste pagine Primo Levi celebra il lavoro vero, quello non di carta, con una frase significativa:

« Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono. »