Il dono di Humboldt è un romanzo di Saul Bellow, pubblicato nel 1975. Il libro ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1976 contribuendo, lo stesso anno, a far vincere anche il Premio Nobel per la letteratura al suo autore. Il romanzo, in qualche modo da considerare roman à clef, indaga l’amicizia di Bellow con il poeta Delmore Schwartz, esplorando il rapporto tra arte e potere negli Stati Uniti materialistici degli anni 1970.
Premio Pulitzer di più di quarant’anni fa: ma quanta attualità traspare da ogni riga, da ogni pensiero e concetto, quanto fine humor!
Avrei voluto soffermarmi a sottolineare molto di più, ma ho preso il libro in prestito dalla biblioteca (relegato nel deposito): è ormai logoro e consunto nella costola, appare ingiallito dal tempo… eppure, quanta ricchezza di pensiero contiene.
Credo che molto si debba alla traduzione di Pier Francesco Paolini, che rende i concetti in maniera vivissima, ma il fascino di questo riuscitissimo romanzo risiede interamente nello stile dell’autore, che si muove sempre leggero e discorsivo, tra citazioni filosofiche (in quel periodo risente molto dell’influsso di Steiner), scientifiche, ed elenchi di autori più o meno noti.
All’inizio i personaggi e gli episodi narrati sembrano un parto onirico, e si muovono avanti e indietro nei ricordi del protagonista, secondo situazioni surreali e assurde. Ma Bellow, come in un sapiente ricamo, a poco a poco tesse le storie dei vari personaggi che s’intersecano tra di loro in momenti diversi del romanzo, fino ad incastrarsi perfettamente nei pezzi del puzzle che completa il disegno finale.
Non voglio dire molto sulla trama, tranne che tratta del rapporto tra due scrittori (Citrine e Humboldt), prima di stima e ammirazione reciproca e poi di odio e rancore. Una volta morto, però Humboldt farà un dono inatteso all’altro che gli cambierà la vita nel profondo.
Ora capisco il premio Nobel all’autore, e per chi volesse, è anche un romanzo a chiave in quanto “indaga l’amicizia di Bellow con il poeta Delmore Schwartz, esplorando il rapporto tra arte e potere negli Stati Uniti materialistici degli anni 1970”.
“Vi sono anime che attendono, da noi, quel nutrimento che solo noi, viventi, possiamo mandargli dalla terra […] Ahimé, ahinoi, che nasciamo a milioni, a miliardi, come bollicine di una bibita effervescente! Ebbi una rapida vertiginosa visione globale dei vivi e dei morti: umanità che ride a crepapelle assistendo a un film comico in cui l’uomo divora l’uomo, oppure che svanisce nel vortice immenso della morte, fra le fiamme, i tormenti, le battaglie… continenti che muoiono di fame. E mi pareva di volare, cieco, attraverso le tenebre, e sbucar fuori da uno squarcio, sopra una metropoli rilucente, laggiù lontano nella morsa del gelo.”
“Le persone come Humboldt, vedi, esprimono una concezione della vita, espongono i sentimenti della loro epoca, oppure scoprono significati o nuove verità nella natura, avvalendosi delle opportunità che il loro tempo offre.
L’esistenza dell’anima non può essere provata, in base alla scienza attuale, eppure la gente vada a comportarsi come se avesse un’anima, nonostante tutto. Si comporta come se provenisse da un altro luogo, da un’altra vita, ha impulsi e desideri che nulla a questo mondo, nessuna teoria scientifica, varrebbe a spiegare.”
“Garcia Lorca parlava di duende: un potere interiore che brucia il sangue come vetro in polvere, una forza spirituale che non consiglia, ma ordina.”
Silvia Loi
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