Sanguina ancora – Paolo Nori #PaoloNori #romanzo #Dostoevskij

Tutto comincia con Delitto e castigo, un romanzo che Paolo Nori legge da ragazzo: è una iniziazione e, al contempo, un’avventura. La scoperta è a suo modo violenta: quel romanzo, pubblicato centododici anni prima, a tremila chilometri di distanza, apre una ferita che non smette di sanguinare. “Sanguino ancora. Perché?” si chiede Paolo Nori, e la sua è una risposta altrettanto sanguinosa, anzi è un romanzo che racconta di un uomo che non ha mai smesso di trovarsi tanto spaesato quanto spietatamente esposto al suo tempo.

«Come si suole dire, da Sanguina ancora emerge un ritratto inedito di Dostoevskij, solo che in questo caso è vero, e alcuni dettagli non possono non deliziare l’appassionato: su tutti un «cappello alla Zimmermann» che dalla realtà finisce in Delitto e castigo»Vanni Santoni, la Lettura

Che devo dire? quest’anno è iniziato benissimo, con la lettura di libri tutti diversi e tutti entusiasmanti. “Sanguina ancora” è un libro di Paolo Nori (di cui avevo già apprezzato “I russi sono matti”) che ripropone una formula molto congeniale all’autore e ai suoi oggetti narrativi. Si cimenta infatti a raccontare Dostoevskij usando la propria passione per lui come tramite, una passione molto carnale che investe la vita non solo intellettuale ma del tutto quotidiana di Nori, che in qualche modo è protagonista del libro non meno di D. stesso. Chi ha già letto qualcosa di Nori non può avere dimenticata la sua prosa peculiarissima, che si avvita su sé stessa in continui garbugli, anacoluti e riprese: una prosa geniale perché gestita benissimo e perché perfetta per uno stile narrativo fatto tutto di digressioni, frammenti che sembrano aver preso la tangente e invece, alla fine, tornano in picchiata sul punto di partenza. Il libro è pieno di spunti, aneddoti, momenti comici, ironia e affetto.

«Il senso di leggere Dostoevskij io non lo so, so che Dostoevskij, anche se non lo leggiamo, ci ha detto, nelle cose che ha scritto, come siam fatti prima ancora che venissimo al mondo (…) e ho avuto, me lo ricordo perfettamente, la sensazione che quella cosa che avevo in mano, quel libro pubblicato centododici anni prima a tremila chilometri di distanza, mi avesse aperto una ferita che non avrebbe smesso tanto presto di sanguinare. Sanguina ancora.»

Paola Borgonovo

Se da una parte Nori ricostruisce gli eventi capitali della vita di Fëdor M. Dostoevskij, dall’altra lascia emergere ciò che di sé, quasi fraternamente, Dostoevskij gli lascia raccontare. Perché di questa prossimità è fatta la convivenza con lo scrittore che più di ogni altro ci chiede di bruciare la distanza fra la nostra e la sua esperienza di esistere. Ingegnere senza vocazione, genio precoce della letteratura, nuovo Gogol’, aspirante rivoluzionario, condannato a morte, confinato in Siberia, cittadino perplesso della “città più astratta e premeditata del globo terracqueo”, giocatore incapace e disperato, marito innamorato, padre incredulo (“Abbiate dei figli! Non c’è al mondo felicità più grande”, è lui che lo scrive), goffo, calvo, un po’ gobbo, vecchio fin da quando è giovane, uomo malato, confuso, contraddittorio, disperato, ridicolo, così simile a noi. Quanto ci chiama, sembra chiedere Paolo Nori, quanto ci chiama a sentire la sua disarmante prossimità, il suo essere ferocemente solo, la sua smagliante unicità? Quanto ci chiama a riconoscere dove la sua ferita continua a sanguinare?

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L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE – Giulia Caminito #GiuliaCaminito #Bompiani

“…ERAVAMO FATTI A BRICIOLE, ERAVAMO BAMBINI, ERAVAMO SENZA GIOCHI E SENZA CASA, MA ERAVAMO ATTENTI.”

Io sono stata un cigno, mi hanno portata da fuori, mi sono voluta accomodare a forza, e poi ho molestato, scalciato e fatto bagarre anche contro chi s’avvicinava con il suo tozzo di pane duro, la sua elemosina d’amore.

Sono ormai tre giorni che ho finito questo libro, e ancora non riesco a trovare le parole giuste per esprimere quello che questa lettura mi ha dato.È una storia potente, che mi ha lasciato dentro tanti pensieri, tante riflessioni e sentimenti, ma è come se non riuscissi a metterli nero su bianco, forse perché sono ancora lì che vorticano…

Non riesco a lasciar andare le due figure femminili che abitano queste pagine, che cercano in ogni modo di rimanere a galla, di trovare il loro posto (e non solo metaforico) in un mondo che le vuole emarginare, che cercano un riscatto che forse non arriverà mai… e intanto l’infelicità si annida negli angoli più bui, la rabbia ribolle in fondo allo stomaco e cerca la strada per venire fuori.

Una madre che non si arrende, che combatte, arranca, lotta per la giustizia e crede nel bene comune, una madre che domina e ingombra, che non accarezza e pretende, la cui ala protettiva si espande prepotentemente e finisce per soffocare. La vita l’ha indurita, le ha inspessito la pelle, le ha insegnato a fare a meno di tutto, tranne che di un tetto sopra la testa. E quello cercherà, per tutta la vita.

Una figlia che nasce nella privazione, che si adatta ai 20mq da dividere in sei, senza giocattoli, senza tv, senza niente. Cresce cercando una rivalsa non sua, senza mai lamentarsi, spingendo giù ogni dolore, soffocando il risentimento, studiando tanto, leggendo i libri giusti, tuffandosi senza paura nell’acqua torbida e scura, sparando con precisione i bersagli, spaccando ginocchia ai prepotenti, affogando i traditori, accendendo fiammiferi, prendendo e difendendo ciò che ritiene sia suo, amando senza sapere cosa sia l’amore, piangendo l’amicizia perduta… Una ragazza che vorrebbe trovare se stessa, ma rimane sempre impigliata nell’ombra di sua madre.

Due figure femminili che ami e che odi, che vorresti abbracciare e prendere a schiaffi, perché portano dentro tutto il disagio degli ultimi, i poveri, e tutto il cinismo e l’arroganza di chi si sente (giustamente) in credito con la vita.Ma non ci sono solo loro in questa storia: c’è un marito/padre che in un attimo perde tutto, e rimane fermo, inchiodato su una sedia, inchiodato in un rapporto che lo vede sempre secondo, laterale, senza voce. Poi c’è un figlio che non è suo figlio, ma con cui evolverà uno strano rapporto di odio/amore. Un ragazzo caparbio, anarchico, l’unico in grado di sottrarsi al dominio materno, divenendo punto di equilibrio per tutti gli altri.

E poi c’è il lago, così vivido, così magico e così spettrale, così protagonista da riuscire a sentirne anche l’odore. Tutto ispirato a vita vissuta…

Giulia Caminito, dov’eri? Dove ti nascondevi? Perché io ti scopro solo adesso? Per me entri, di diritto, nell’olimpo delle grandi scrittrici italiane contemporanee. La tua scrittura è bellezza autentica!

Antonella Russi

Odore di alghe limacciose e sabbia densa, odore di piume bagnate. È un antico cratere, ora pieno d’acqua: è il lago di Bracciano, dove approda, in fuga dall’indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, donna fiera fino alla testardaggine che da sola si occupa di un marito disabile e di quattro figli. Antonia è onestissima, Antonia non scende a compromessi, Antonia crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua unica figlia femmina a contare solo sulla propria capacità di tenere alta la testa. E Gaia impara: a non lamentarsi, a salire ogni giorno su un regionale per andare a scuola, a leggere libri, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo. Sembra che questa ragazzina piena di lentiggini chini il capo: invece quando leva lo sguardo i suoi occhi hanno una luce nerissima. Ogni moto di ragionevolezza precipita dentro di lei come in quelle notti in cui corre a fari spenti nel buio in sella a un motorino. Alla banalità insapore della vita, a un torto subito Gaia reagisce con violenza imprevedibile, con la determinazione di una divinità muta. Sono gli anni duemila, Gaia e i suoi amici crescono in un mondo dal quale le grandi battaglie politiche e civili sono lontane, vicino c’è solo il piccolo cabotaggio degli oggetti posseduti o negati, dei primi sms, le acque immobili di un’esistenza priva di orizzonti.