Peggotty and little David, Frank Reynolds
Finito primo tomazzo dell’anno che, se vogliamo andar per cumuli, fa davvero una bella tombola (credo punti 1, 2, 3, 13, 16, 23, 42, 44…)
In ogni caso la traduzione è di Cesare Pavese. Il che ha un suo certo peso specifico.
Fermo restando che sentivo il bisogno di un libro di spessore, e non parlo solo del numero di pagine, che adoro Dickens dal più profondo del cuore e che uscivo da una crisi astinenziale di un paio di mesi, aprire il libro e scorrere le prime due righe è stato un balsamo per l’anima. Leggete insieme a me:
“Se mi accadrà di essere io stesso l’eroe della mia vita o se questa parte verrà sostenuta da qualche altro, lo diranno queste pagine.”
Non so, m’è parso di chiudere gli occhi e riaprirli su un mondo altro, come puntualmente mi accade con questo autore, un po’ perché amo le storie dalla “gustosa futilità dell’intreccio”, come le definisce lo stesso Pavese nel commento all’opera, un po’ perché smanio d’esser scaraventata tra le strade di una fumosa Londra ottocentesca, un po’ perché, e devo ammetterlo, qui la parte del traduttore è stata, più che in altri casi, una vera manna dal cielo. L’italiano utilizzato come l’ho letto qui, ti rappacifica col mondo e con la letteratura. Non sono snob, sono innamorata.
La storia in sé si dipana in puro stile Dickensiano – l’autore stesso lo definisce il suo lavoro più amato – tra una miriade di personaggi più o meno via di testa (bene o male di davvero dritto non ce n’è uno!) e apre finestre su finestre che, grazie a dio, vengono perfettamente richiuse al termine del romanzo.
Ecco, io amo i libri compiuti, quelli dove le cose vengono spiegate, dove i misteri si risolvono, dove non mancano morte e dolore, per carità, ma alla fine l’intreccio si streccia e io arrivo a vederci chiaro.
Mi sono astenuta dal commentare il superconsigliato e intoccabile caposaldo del Re, L’Ombra dello Scorpione, dove per l’appunto ho patito le pene dell’inferno perché non si capisce ‘na mezza cippa di cosa sia veramente successo, di cause, origini, tutte quelle robe là. Ammetto che in qualche occasione la forma narrativa della sospensione, del finale aperto, possa esercitare un suo certo fascino, tuttavia trovo grandissimo piacere nel riprendere fiato in opere compiute come, per l’appunto, il David Copperfield. Vivano i classici!
Sara De Paoli