Lettera di una sconosciuta – Stefan Zweig #StefanZweig #Adeplhi

“A te, che non mi hai mai conosciuta”: è questa l’intestazione della lettera che, nel giorno del suo compleanno, riceve un romanziere viennese, un quarantenne di bell’aspetto a cui la vita ha offerto i suoi doni più ambiti: la ricchezza, la fama e un fascino “morbido e avvolgente” a cui è impossibile resistere. “Ieri il mio bambino è morto”: così esordisce la misteriosa scrivente, e continua: “adesso al mondo mi sei rimasto solo tu, tu che di me non sai nulla”. Quando lui leggerà quelle righe, lei sarà già morta: per questo, solo per questo, concede a se stessa di raccontargli la propria vita la vita di una creatura che per più di quindici anni (prima bambina, poi adolescente, e poi donna) gli ha votato, “con la dedizione di una schiava, di un cane”, un amore “disperato, umile, sottomesso, attento e appassionato”, senza mai rivelargli il proprio nome, senza mai chiedere nulla, ottenendo in cambio solo poche notti d’amore e portandosi dentro un unico, struggente desiderio: che incontrandola, almeno una volta, la riconoscesse. Ma quasi sempre il volto di una donna rappresenta per l’uomo “solo lo specchio di una passione, di un gesto infantile, di un moto di stanchezza, e svanisce altrettanto facilmente di un’immagine allo specchio”. E il destino di lei è stato di non essere mai riconosciuta. La descrizione di un labirinto di amore assoluto, un ritratto di donna ardente e viva e, al tempo stesso, immateriale come “una musica lontana”.

Leggendo il titolo avevo pensato ad un amore mai consumato, mai vissuto neppure per un attimo. Una donna che si innamora di un uomo senza mai riuscire ad incrociare la sua strada. Invece no, la storia di questa donna è qualcosa di diverso ed è più importante quello che non dice di quello che racconta. Leggendo questo piccolo capolavoro non potevo non immaginare l’oggetto di un amore così grande, “colui che non riconosce”, ad ogni pagina, immaginarmi l’eleganza, la cultura ma anche la vacuità, la superficialità di un uomo di tal fatta. Un uomo che non sa cosa è l’amore e che fa della superficialità la sua ragione di vita. Il lettore si concentra sulla figura maschile egocentrica e superficiale.

Barbara Gatti

“Lettera di una sconosciuta narra la passione devota e assoluta di una giovane donna nei confronti di uno scrittore affermato, viziato dal successo, capace più di descrivere che vivere effettivamente i propri sentimenti. Solo leggendo la missiva, dalla quale apprenderà di avere generato un figlio in occasione di un fuggevole incontro, si renderà conto di questa delicata, costante, discreta devozione che porterà alla morte colei che gli scrive, incapace di sopravvivere alla morte del loro bambino. L’indiretta descrizione del suo freddo atteggiamento da dandy e l’atmosfera viennese della novella ricordano il breve dramma lirico Il folle e la morte di Hugo von Hofmannsthal, del 1893, con il suo protagonista Claudio, incapace di condividere davvero i sentimenti provati da chi gli è stato vicino. La magistrale riproposizione di quelle atmosfere da belle époque alcuni anni dopo la fine del primo conflitto mondiale, che per sempre le aveva distrutte, è un segno tangibile di quanto Stefan Zweig vi fosse intimamente e drammaticamente legato.”
Giorgio Kurschinski

Traduttore: Ada Vigliani Editore: Adelphi Collana: Piccola biblioteca Adelphi

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Vladimir Nabokov – Lolita #Nabokov #Lolita @nellogiovane69

Libro 54

lolita-2«Più d’una volta l’ingegnoso Humbert evocò Charlotte vista dal buco della serratura di un’immaginazione virile. Era ben fatta e molto curata, dovevo riconoscerlo, era la sorella maggiore della mia Lolita – mi sarei forse potuto attenere a questo concetto, se non avessi messo a fuoco con troppo realismo i suoi fianchi pesanti, le ginocchia rotonde, il busto maturo, la pelle ruvida e rosea del collo (ruvida in confronto alla seta e al miele), e tutte le altre caratteristiche di quella cosa uggiosa e miseranda chiamata “bella donna”.»

Mentre lo leggevo non potevo fare a meno di chiedermi: come ho fatto a non farlo fino ad ora? Scritto nel 1955, è un romanzo di una contemporaneità sconcertante, scritto in forma di memoria difensiva venata di sarcasmo, satura dello sdegno di chi sa decifrare con lucidità la malattia che pervade tutto, a partire dalla propria malattia. Non si riesce a volere bene a Humbert Humbert, certo che no, eppure siamo dalla sua parte, nella sua patologia. Partecipiamo al compiersi della sua mostruosità. Viviamo la sua ossessione ed il suo sentirsene soggiogato, ma ancora più la noia – una noia sempre ben ponderata che sconfina spesso nella repulsione – per la trama di regole, percorsi ed equilibri della società che il protagonista viviseziona con lo sguardo chirurgico di un patologo e con le piroette sferzanti di un istrione.
Il passaggio chiave è quando Humbert identifica nel farsi donna della “ninfetta” una sorta di sepoltura della purezza maliziosa all’interno di un sarcofago di carne, il corpo adulto quindi come l’emblema del conformismo che spunta tutte le armi della sensualità, del rapimento, della ricerca dell’estasi. Il punto di vista di Humbert è morboso, ma – questo mi sembra il punto – la patologia è collettiva.
Lolita pagina dopo pagina si rivela mostruosa come e più di Humbert, solo ovviamente più ingenua, sprovvista dell’unica arma che può rivelare la trappola – la cultura – anche se soltanto per consegnarti ad una inevitabile e spesso malsana alienazione. In questo senso, Nabokov sa rendere in maniera magistrale – grazie a una prosa brillante, ironicamenrte forbita, ricca di calembour aspri come di pennellate descrittive asciutte, visionarie, folgoranti – l’evaporare delle potenzialità intatte dell’infanzia nell’ottuso carosello di aspirazioni e ambizioni della formattazione adulta. Terribile e a tratti persino divertente, arguto fino alla crudeltà.

Stefano Solventi