Le nostre anime di notte – Kent Haruf #KentHaruf #NNEditore

Kent Haruf – Le nostre anime di notte

Traduttore : Fabio Cremonesi
Editore NNEditore

“Conoscere bene qualcuno alla mia età. E scoprire che ti piace e che in fondo non sei completamente inaridito… Non siamo diventati aridi nel corpo e nello spirito”.

Bon, se ne è andato anche il mio primo Haruf.
Seguiranno gli altri, perché è evidente: questo è uno scrittore che ci siamo meritati.
Non dirò nulla della trama, ormai ho deciso. Col passare degli anni ho scoperto che, quando m’imbatto in un grande autore, raccontarne le trame m’innervosisce. Tanto, in rete, le si recupera ovunque e facilmente.
Mi fanno urgenza, piuttosto, alcune considerazioni e suggestioni.
Ho ritrovato un tono che amo molto, quello ruvido ed essenziale di una letteratura di provincia molto americana, fatto di riduzione all’osso, di spolpatura delle frasi e delle situazioni, come in uno scartavetrare il romanzo a colpi di vento e polvere e di rovesci di fortuna, finché resta solo quello che serve e non una sola parola di più. Come se si fosse sempre troppo provati dal vivere ogni santo giorno per stare a crogiolarsi nei dettagli. Quindi poco o nulla è descritto, tutto è indotto. Le tracce sono nitide, la visione d’insieme è compito (e privilegio) del lettore.
Adoro tutto ciò. Troppo.
E poi qui esce quel che per me fa tutta la differenza del mondo: i dialoghi. Io divido una biblioteca in autori che sanno scrivere dialoghi e autori che invece no.
Haruf sa, è cosa che balza subito all’occhio.
I personaggi sono il dialogo. È un dialogo di perfetta marchiatura “di frontiera”. Frasi secche, asciutte, di distillata efficacia capitalista e campagnola, quel brusco essere saggi con poco, senza fronzoli, perché lo spreco di parole ha quasi un che di peccaminoso e antiprotestante, un indulgere nell’autocompiacimento che non si addice a regioni del mondo nuove e troppo vaste, dove la realtà si misura in fare o non fare, non in teorizzare.
E allora si dice in fretta tutto quel che serve, puntualmente, ma è una fretta schietta e misurata, calibrata allo scopo, al dove si vuole andare a parare.
Haruf, come altri grandi delle sue parti, fa venire i suoi personaggi al sodo e lascia che siano le loro parole a ritrarli: chi sono, cosa desiderano, come amano e come vivono. Come si preparano alla morte, anche. Loro parlano e noi li vediamo. Il resto è narrazione e funzionalità.
Anche stavolta dovrei prendere esempio, perché invece ne vien fuori un resoconto lungo quanto il romanzo. Pace.
Mentre leggevo pensavo che qualcosa di simile lo avevo incontrato, ancora, solo pochi mesi fa. Sì, c’è l’eco di Salinger e di Steinbeck, di McCarthy o di Williams (John) come – persino – di un certo Lansdale, per dire. Ma non era questo.
Era “La bibbia al neon” di quel curioso fenomeno che fu John Kennedy Toole.
E i conti mi tornano.
Basta così. E non ditemi Iuri, allora adesso leggiti la Trilogia della Pianura, che tanto è già deciso…

“E così, la vita non è andata bene per nessuno dei due, quantomeno non come ce l’aspettavamo, disse Louis…
…Chi riesce ad avere quello che desidera? Non mi pare che capiti a tanti, forse proprio a nessuno. È sempre un incontro alla cieca tra due persone che mettono in scena vecchie idee e sogni e impressioni sbagliate”.

Iuri Toffanin

David James Poissant – Il paradiso degli animali @djpoissant @nellogiovane69

poissant

Questo libro è per chi sogna di viaggiare su un furgoncino Volkswagen in compagnia di un labrador nero, per chi ama i film di Wes Anderson e il deserto di Bagdad Café, e per chi a volte teme di essere un pazzo ma in realtà è caduto in un cerchio magico da cui riuscirà prima o poi a uscire.

Non sono tutti perfetti, talvolta scricchiolano, questi racconti, ma ognuno emoziona, quel tipo di emozione che fa male, che ti spinge a percorrere una corda tesa sul fosso, a premere l’acceleratore perché potrebbe essere troppo tardi.
Vite in bilico tra scelte da fare e impossibilità di scegliere, le seconde più delle prime, come se fossero la stessa cosa in fondo. Perché “la natura è un cazzo di mostro”.

Stefano Solventi

DESCRIZIONE

I racconti di David James Poissant parlano di relazioni. Genitori e figli, mariti e mogli, amanti o amici, i protagonisti di queste storie sono ritratti in un momento decisivo della loro vita quando, per la forza brutale dell’amore, si trovano sulla soglia di un precipizio, spinti da decisioni che loro stessi hanno preso. E sull’orlo del burrone, a ciascuno viene chiesto di fare una scelta: saltare o tornare indietro. Gli animali servono da catalizzatori, scatenano reazioni paradossali, spesso grottesche. E sono anche metafore di un territorio sospeso tra realismo e allegoria. I paesaggi sono quelli dell’America del sud, Atlanta, Florida, Tucson, ma anche Midwest e California. Non è il sogno americano ma un luogo più selvaggio e ai margini, dove fallimento e successo sono molto più vicini di quanto ci si aspetti, e il finale, lieto o triste che sia, libera sempre nuove speranze di riscatto e una profonda compassione.
Come nella poesia di James L. Dickey, che dà il titolo a questa raccolta: “Sotto l’albero / cadono / sconfitti / si rialzano / si rimettono in cammino”. Che poi è quello che tutti tentiamo di fare.