Opinioni di un clown – Heinrich Böll

Ma che tipo di uomo sei, in conclusione?” gli chiede il fratello Leo “sono un clown e faccio raccolta di attimi”.

Ho sempre odiato i clown, mi hanno sempre fatto una grande tristezza. Questo romanzo mi ci ha fatto riappacificare. Un clown, Hans Schnier, intelligente e dissacrante. La sua maschera gli serve per recitare le sue pantomime che sono, in questo caso, una critica al miracolo economico della Germania che ha liquidato troppo sbrigativamente il suo passato e con esso le responsabilità storiche. Hans è un antieroe che perde la donna che ama in quanto non vuole piegarsi alla morale cattolica. Egli rimpiange la sua Maria amaramente perché è l’unica donna che ha amato e che ama ancora.

Prorompente critica all’ipocrisia borghese legata alla ricostruzione post-bellica (vi sono dei velati riferimenti al piano Marshall e alle sue relative conseguenze politiche), alla negazione acritica del passato e ad un senso di vergogna e di estemporanea nuova appartenenza di “rinascita”, il romanzo è un capolavoro formale assoluto. Ambientata nel periodo della ricostruzione industriale tedesca successiva al secondo conflitto mondiale, l’opera fu tradotta in italiano da Amina Pandolfi e pubblicata per la prima volta da Mondadori nel 1965.

Scene ed opinioni si susseguono in un lasso temporale di poche ore con ritmo brioso ed incalzante pur nella dissacrazione della società in cui vive (in particolare della città di Bonn) che mostra il “peccato” della restaurazione cattolico-governativa ove per i cattolici in teoria tutto è peccato mentre in pratica l’opulenza e il materialismo la fanno da padroni in una dimensione sempre più ipocrita e bigotta che Hans non smette di motteggiare con acume e lucida critica.

Ed è proprio sua la frase “se la nostra epoca merita un nome, dovrebbe chiamarsi l’epoca della prostituzione”.

La Germania post-nazista affrontò un lungo periodo di miseria economica e sociale, prima di avviare il processo ricostruttivo. L’analisi di Böll affronta il versante borghese di questa rinascita: il lungo lamento del clown è l’occasione per l’autore di descrivere le convenzioni di quella borghesia conservatrice dapprima favorevole o, comunque, non ostile al nazismo e, una volta tornata la Germania alla democrazia, pronta a riproporre nel nuovo quadro sociale i suoi riti e i suoi pregiudizi.

E riguardo a come i tedeschi guardavano il passato della Germania nazista “Non capivano che il segreto dell’orrore sta nel particolare. E’ molto facile, un gioco da bambini, pentirsi di gravi colpe: errori politici, adulterio, assassinio, antisemitismo. Ma chi perdona un particolare, chi comprende i dettagli?”.

Barbara Gatti

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Così fu Auschwitz. Testimonianze 1945-1986 – Primo Levi #Einaudi #PrimoLevi

Nel 1945, all’indomani della liberazione, i militari sovietici che controllavano il campo per ex prigionieri di Katowice, in Polonia, chiesero a Primo Levi e a Leonardo De Benedetti, suo compagno di prigionia, di redigere una relazione dettagliata sulle condizioni sanitarie del Lager. Il risultato fu il “Rapporto su Auschwitz”: una testimonianza straordinaria, uno dei primi resoconti sui campi di sterminio mai elaborati. La relazione, pubblicata nel 1946 sulla rivista scientifica “Minerva Medica”, inaugura la successiva opera di Primo Levi testimone, analista e scrittore. Nei quattro decenni seguenti, Levi non smetterà mai di raccontare l’esperienza del Lager in testi di varia natura, per la maggior parte mai raccolti in volume. Dalle precoci ricerche sul destino dei propri compagni alla deposizione per il processo Eichmann, dalla “lettera alla figlia di un fascista che chiede la verità” agli articoli apparsi su quotidiani e riviste specializzate, “Così fu Auschwitz” è un mosaico di memorie e di riflessioni critiche dall’inestimabile valore storico e umano.

Il Rapporto su Auschwitz redatto da Primo Levi e Leonardo de Benedetti, su richiesta dei militari sovietici a comando del campo di Katowice, dove i sopravvissuti liberati furono condotti nel 1945, prima del rientro in Italia.

Testimonianze dirette, scritte di pugno, attraverso un lavoro di ricerca e memoria, materiale fotografico relativo agli scritti originali, che raccontano le condizioni di vita nel lager di Buna-Monowitz, la deportazione, le tecniche di sterminio ad opera dei nazisti. L’ipnotica prosa di Levi, pulita ed efficace, poetica ed essenziale, sempre pervasa da quell’incontenibile urgenza di raccontare e tramandare la memoria di quell’abominio, la ferocia, l’inumana malvagità, l’esperienza che è stata di milioni e di cui lui si fa determinato testimone e portavoce. La volontà di un uomo che ha compiuto uno sforzo di memoria (“uno strumento meraviglioso ma fallace”) e di analisi meticolosi, con l’obiettivo fin da allora pressante di riferire, di far conoscere al mondo l’inferno dei campi di sterminio, data la paura che nessuno avrebbe mai creduto loro, così come spesso i nazisti profetizzavano!

Io amo molto leggere Levi, mi ha fatto appassionare ai temi della Seconda Guerra mondiale e dell’Olocausto, il suo modo di scrivere è incredibile, così potente ma misurato, le sue analisi profonde e acute, sviscera i fatti e ne ricerca sempre le motivazioni, le logiche e le dinamiche sottostanti. Affascinante come pochi!

Carla Putzu

Curatore: F. Levi, D. Scarpa Editore: Einaudi Collana: Super ET