L’invenzione della solitudine – Paul Auster #PaulAuster

-Se vedi il mondo solo in termini di soldi, va a finire che non lo vedi affatto.

L’invenzione della solitudine – Paul Auster

Einaudi, ET Scrittori
Traduzione di Massimo Bocchiola

Avrei potuto aspettare prima di scrivere qualcosa su questo testo di Auster appena terminato, avrei potuto elaborare meglio la lettura per valorizzare insieme le idee sottolineate. Ma ho sentito la stessa urgenza che ha avuto l’autore.
Dovevo liberarmi ed allora eccomi qua a scriverne due righe raffazzonando un po’ di appunti messi insieme frettolosamente.

La morte di un padre all’improvviso. L’urgenza di mettere per iscritto il ricordo. Come se la memoria abbia un limite temporale a scadenza, oltre quel limite tutto andrà perduto.

È di suo padre che ci parla Paul Auster nella prima parte dell’invenzione della solitudine, nella descrizione di quello che era e soprattutto quello che NON era.

-Era assente già prima di morire, e le persone più vicine a lui avevano imparato da un pezzo ad accettarne l’assenza, considerandola il tratto piu essenziale del suo essere.

Nel dolore dell’elaborazione di un lutto, Paolino cerca di identificare l’uomo nascosto dentro una figura che nella parte del giovane figlio non ha mai capito. E ci prova ora, da uomo adulto e scrittore, mettendo a nudo i fatti, lasciando che loro parlino per lui, che manifestino la verità o presunta tale.

-Credo che il mondo per lui fosse un luogo remoto, un luogo dove non poté mai entrare veramente, e laggiù, lontano, fra tutte le ombre che gli erano sfilate davanti, ero nato io, ed ero diventato suo figlio, e cresciuto, quasi non fossi a mia volta che un ombra, apparendo e sparendo in una regione mal illuminata della sua coscienza.

Sono ricordi duri, soprattutto per chi ha avuto un rapporto conflittuale con suo padre. Auster non si risparmia niente , affrontando la sua verità, con durezza.

Non è il primo romanzo in cui l’autore cerca di attenersi ai fatti senza ricorrere a nessun espediente narrativo: la cronaca di una vita nello stile che lo contraddistingue. E se in precendenza in alcuni dei suoi libri le lacrime davvero mi scendevano copiose, lacrime di gioia e di dolore, qui per quanto mi riguarda resta solo il dolore per una vita non vissuta.

-Su un piano più vasto, un simile atteggiamento portava mio padre a uno stato di perenne deprivazione sensoriale; col chiudere gli occhi davanti a tante cose si negava ogni intimo contatto con le forme e le trame del mondo, alienandosi la possibilità del piacere estetico.

La seconda parte (Il libro della memoria) è una specie di diario, una serie di ricordi della sua e di vite a lui vicine; Auster qui scrive utilizzando la terza persona,  in un periodo molto particolare della sua vita (in pochissimo tempo ha sofferto la morte improvvisa del padre e il lento esaurirsi della vita del nonno, oltre alla separazione dalla moglie), e ci rende partecipi di alcune riflessioni, molte citazioni e riferimenti colti.
Onestamente la prima parte di questo saggio/romanzo/diario mi ha letteralmente svuotato energicamente.

“Si dice che gli uomini se la notte non sognassero impazzirebbero; analogamente, se a un bimbo si nega l’accesso all’immaginario, non prenderà mai contatto con la realtà. Il bisogno di storie non è meno vitale per un bambino del bisogno di cibo, e si manifesta con lo stesso meccanismo della fame”.

Daniele Bartolucci

DESCRIZIONE

Il libro si compone di due scritti speculari. Il primo, “Il ritratto di un uomo invisibile”, è una meditazione sulla scomparsa del padre, scritta qualche settimana dopo la sua morte. “Niente è più terribile che trovarsi faccia a faccia con gli oggetti di un morto. Le cose di per sé sono inerti: assumono significato solo in funzione della vita che ne fa uso”, scrive Auster nel passare in rassegna le carte e gli oggetti del padre. Nel secondo “pezzo”, “Il libro della memoria”, l’autore sposta la sua attenzione dalla sua identità di figlio a quella di padre: riflette sulla condizione solitaria dello scrittore e prova a immaginare quella che sarà fatalmente la separazione dal figlio che cresce.

Una piccola libreria a Parigi – Nina George #recensione #ninageorge

Questo è un libro molto romantico, forse addirittura melenso in certe parti, anche se la storia è un po’ particolare, non un classico romanzo d’amore, ma più un libro sulla ricerca della felicità e dell’amore, anche in età matura.

A Parigi c’è una libreria galleggiante, ormeggiata lungo la Senna. E’ una vera e propria imbarcazione: una specie di chiatta a motore. Il suo proprietario si chiama Jean Perdu, e vent’anni fa acquistò la LULU’ per ristrutturarla e creare così la sua “farmacia letteraria”. Questa è l’insegna che troneggia a prua della chiatta, perché non si tratta di una normale libreria ma di un luogo dove viene curata l’anima di chi entra. Secondo Monsieur Perdu i libri sono come medicine per i sentimenti guastati, quelli che fanno stare male. Ognuno di noi li ha, ma spesso siamo talmente abituati alla loro compagnia che non ce ne rendiamo più conto. Lui possiede la dote naturale di riuscire a percepire, per ogni cliente che entra a bordo della sua Lulu’, quale siano i sentimenti da rimettere a posto. Bastano qualche sguardo, qualche domanda, e il libro giusto arriva nelle mani del lettore giusto. Ovviamente i libri non sono dottori. Ci sono romanzi che sono ottimi compagni di vita, altri sono come ceffoni. Altri ancora come un’amica che ti avvolge in una vestaglia calda quando l’autunno ti fa sentire malinconico. E alcuni sono come zucchero filato rosa, solleticano il cervello per tre secondi, lasciando dietro di sé un gioioso vuoto. I libri sono come le persone. Le persone come i libri. Con questa semplice convinzione Monsieur Perdu riesce a trovare i libri per tutti. Ma non ha ancora trovato quello per aiutare se stesso. Da anni la sua vita ordinata e metodica nasconde un profondo dolore che ha ostinatamente deciso di confinare all’interno di una stanza del suo appartamento. L’ha barricata e sigillata, insieme ad una lettera che giace lì da vent’anni. Aprirla e leggerla cambierà la sua vita e quella di alcuni amici i quali, ognuno con il suo bagaglio di ottimi motivi, si ritroveranno a bordo della Lulù per un viaggio lungo la Senna, verso la Provenza e verso una felicità nuova e del tutto inaspettata. Alla fine anche Monsieur Perdu ed i suoi strampalati compagni di viaggio riusciranno a trovare il libro della loro vita, ma non prima di aver affrontato il dolore e la paura che avevano scelto di ignorare.

E’ un romanzo delizioso come una baguette calda, bizzarro, commovente, di quelli che fanno compagnia senza disturbare; ma è anche un po’ ruffiano, a cominciare dal titolo, e dalla copertina carina che attira noi ragazze sentimentali. Ma quello che per me ha salvato del tutto il libro è proprio Jean Perdu, il protagonista, che con il suo charme vecchio stile e la sua sensibilità crea un’empatia immediata con il lettore. E poi, chi di noi non vorrebbe immergersi in un racconto che mescola ingredienti come Parigi, la Senna, la Provenza, il Tango, il buon cibo, i libri, e un paio di gatti randagi che portano il nome di grandi scrittori…
Mi mancherai, Monsieur Perdu!

Paola Castelli