Un solo paradiso – Giorgio Fontana #recensione #GiorgioFontana @barbarafacciott

Se, come me, amate Milano alla follia (non solo nella settimana del Salone in centro ma negli inverni umidi e nelle periferie), non potete esimervi dal leggere Giorgio Fontana.
L’ho conosciuto alla presentazione del libro “Morte di un uomo felice”, e subito mi sono procurata questo “Un solo paradiso” che è una storia intensa e particolare, e come dice l’autore/narratore, che cosa puoi fare con una storia se non raccontarla?
Una storia d’amore e di vita, e sulla consistenza di sè.

Il libro prende le mosse da un gruppo di giovani amici che,”sotto un’esistenza che poteva apparire frenetica e superficiale”, sentivano “tutti una vibrazione comune. Una febbre che li divorava in segreto e che aveva molto a che fare con i tempi in cui erano cresciuti: tempi di cinismo e solitudine”. Uno di loro, Alessio aveva imparato a vivere coltivando una mediocrità esistenziale, un “dolceamaro contentarsi”. Sì, tutto regolare, fino a che non incontra Martina.

La città è protagonista del romanzo, importante tanto quanto Alessio e Martina che, a Milano si incontrano e qui cominciano la loro storia d’amore.
A lui (Alessio) era toccata in sorte questa condanna: ricordare il modo in cui la città si dispone a teatro, e ogni suo dettaglio – un piccione che becchetta la pozzanghera, l’insegna di una farmacia, l’odore resinoso dell’aria, la bandiera PACE avvizzita di quel davanzale- tutto perde identità e diviene schiavo di due persone soltanto”.
E ancora “amava il modo in cui Milano si lasciava plasmare dal percorso scelto, cambiando pelle dove tutti vedevano solo una coltre monotona di palazzi. Occorreva tenacia: quella città che tanto stancava i suoi amici, per lui custodiva sempre un margine di incanto che gli apparteneva, persino una sorta di mistero”.

L’amore tocca e sconvolge la vita di Alessio facendogli capire “il nuovo stato in cui è immerso – e no, non era uno stato: aveva più la forma di una preghiera, un desiderio indefinito che quella condizione continuasse… per la prima volta voleva assolutamente vivere, e per la prima volta di scoprì oscenamente mortale”.
In una notte d’amore, Alessio comprende così che il dolceamaro contentarsi è “un modo di corteggiare il nulla”. Sfiorando appena la superficie delle cose, sei al riparo da qualunque forma di distruzione.

Bene amici, mi fermo qui. Vi dico solo che se vi sentite oscenamente innamorati, scegliete un altro libro. Mettetevi al riparo perché si può sopravvivere a tanti inferni, ma non a un solo paradiso.
Baci e abbracci

Barbara Facciotto

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Morte di un uomo felice – Giorgio Fontana #recensione #giorgiofontana

mortediunuomofelice

Siamo nell’estate afosa del 1981 a Milano, nell’epoca del terrorismo rosso e nero che colpisce a ripetizione; cadono uomini senza colpe dirette, ma eletti a simbolo dello Stato oppressore da chi pensa che la morte sia l’unica risposta allo stragismo che rimane senza colpevoli, da Piazza Fontana a Piazza della Loggia all’Italicus e via via sommando sempre nuove vittime. Giacomo Colnaghi, il protagonista di questa storia dall’esito ineluttabile già dal titolo, è un sostituto procuratore che crede nella legge e nella giustizia degli uomini onesti ma non cessa di interrogarsi sulle motivazioni profonde e sulle scelte assurde di giovani che, come lui nati e cresciuti nella cultura cattolica e in un credo politico egualitario di sinistra, hanno trovato strade opposte alla sua nelle bande armate. E’ un uomo apparentemente sereno e felice, Giacomo, dalla vita monotona e perfino banale: vive da solo a Milano tornando in famiglia solo per il week-end e sembra privilegiare il lavoro alla famiglia, e forse così felice non è se lui e la moglie non fanno all’amore da sette mesi. E’ poi tormentato dalla consapevolezza che la sua giustizia non sembra dare risposte adeguate ai parenti delle vittime.
Il racconto privilegia le atmosfere cittadine di quegli anni, pesanti di una cupezza presaga del peggio, e all’azione del magistrato antepone gli incontri casuali o con vecchi amici o con i terroristi catturati. Il libraio Mario, il parroco don Luciano, il collega magistrato Doni, sono persone con le quali il protagonista si confronta e scontra sul senso del suo impegno, sulla sua convinzione fervidamente cattolica e soprattutto sul sacrificio a cui obbliga la propria famiglia. In questo andamento pacato e dolente sta il pregio e forse anche un limite del libro che ricorre a qualche stereotipo o a immagini a volte leziose che rubano spazio a un approfondimento più incisivo del tema trattato, forse impossibile all’autore nonostante l’ampia documentazione a cui si è alimentato, non essendo testimone diretto di quell’epoca. Ma Fontana sembra volere mettere una sua radice anche qui, in questa epoca, investigandola, come fa fare al suo protagonista, rimasto orfano appena nato perché il padre Ernesto, la cui storia viene raccontata in parallelo allo svolgimento della vicenda principale, è morto giustiziato dai tedeschi durante la lotta partigiana ma è diventato così la stella polare di un impegno inderogabile. Un magistrato cattolico al lavoro durante gli anni di piombo, un operaio comunista in fabbrica durante la seconda guerra mondiale, un padre e un figlio diversi ma uniti dallo stesso destino, due vite spese con impegno alla ricerca della giustizia, libertà e verità.
Non mancano i passaggi incisivi e interessanti (vedasi l’incontro a una conferenza in cui è praticamente l’unico partecipante con la relatrice con la quale si trova a dibattere il tema del diverso significato della giustizia divina e della giustizia degli uomini e nel quale la sintesi suggerita è un bellissimo verso di Dylan Thomas: “And all your deeds and words, /each truth, each lie, / Die in injudging love” (E tutte le tue azioni e le tue parole, ogni verità, ogni bugia, muoiono nell’amore che non giudica).
Questo libro ha vinto, a sorpresa, il Campiello 2014: non è un libro perfetto, ma molto interessante e pregevole perché la memoria degli anni bui del terrorismo politico dovrebbe bricordarci che abbiamo passato momenti molto complessi e sarebbe molto importante capire perché ci si è arrivati e perché sarebbe tanto meglio non ricapitarci dentro.

Renato Graziano