Le terre del sacramento – Francesco Jovine #FrancescoJovine

«Nevicò tre giorni e tre notti e Calena ascoltò il suo silenzio. Non arrivava un’automobile; non si udiva il trepestio di un cavallo. Al quarto giorno, Calena rimase senza posta, senza giornali. Per quarantotto ore al Circolo delle Professioni si sperò che succedesse l’avvenimento atteso. Il mondo fuori di Calena si muoveva, agiva, ribolliva, mentre Calena non ne sapeva nulla. Furono giornate febbrili. Ma la mattina seguente soffiò la tramontana e tornò il sole. La neve divenne di cristallo. Qualche giorno dopo arrivarono i giornali e i signori di Calena seppero che era finito l’anno 1921 e incominciava il 1922».

38/22 Disfida 1. Uno scrittore del Sud Italia poco conosciuto (per intenderci, uno di quelli che la Gelmini diceva fosse inutile leggere! )

Siamo agli inizi del ventennio fascista, in Molise, nella città inventata di Calena, che secondo alcuni è da intendere come Isernia o secondo altri piuttosto come Casacalenda. Diversi i protagonisti dei quali il primo è l’avvocato Enrico Cannavale, soprannominato La Capra del Diavolo, che tra gli altri beni, ha ereditato le terre del sacramento, in precedenza appartenenti alla Chiesa, che il nonno dell’avvocato aveva comprato per pochi soldi e, secondo la tradizione popolare, terre da non coltivare perché maledette. L’avvocato Cannavale, di idee socialiste, è inoltre malvisto perché, nonostante sia tanto generoso quanto spesso insolvente, è un impenitente donnaiolo e ospita a casa come governante, oltre che come amante, la cugina Clelia, da quando la stessa è rimasta orfana, anche se finirà con lo sposare Laura. Laura, altra protagonista, porterà con sé, nella casa del marito, il padre, ex presidente di Corte d’Appello, e la cognata, vedova, coi quattro figli, prendendo di fatto il controllo della casa e delle proprietà del marito, di cui resterà presto vedova. Terzo protagonista Luca Marano, figlio di poveri contadini di Morutri, paesino vicino alle terre di sacramento, che abbandonata l’idea di diventare prete, con grande dispiacere della madre, studia Leggi in maniera discontinua. A lui si rivolgerà Laura per riuscire a rendere redditizie le terre maledette, sfruttando la buona fede del giovane Luca e il suo desiderio di migliorare le condizioni dei poveri contadini. E, come è facile immaginare, non finirà bene. Ma, soprattutto, protagonista di questo libro del 1950, appartenente alla corrente Naturalista, è la condizione contadina del sud Italia in quell’epoca tra le due guerre, che già misera fu aggravata con l’avvento del fascismo e la risoluzione nel sangue delle proteste. Francesco Jovine ricevette per questo libro il premio Viareggio, purtroppo postumo, e nel 1970 la RAI ne trasse uno sceneggiato, che ebbe un discreto successo, anche perché i temi affrontati, soprattutto la “questione meridionale”, erano in quegli anni oggetto di grandi discussioni. Lo stile narrativo è inizialmente un po’ difficoltoso, così ricco di particolari e senza divisioni in capitoli, nonostante la scrittura chiara e scorrevole, ma tutto trova un suo senso e una sua collocazione col progredire del racconto. A creare un’interruzione del flusso, in questa edizione di Gigamesh ci sono delle interessanti foto d’epoca, che personalmente apprezzo sempre molto.

Rosangela Usai

Gilgamesh edizioni

Francesco Jovine nacque a Guardialfiera (Campobasso) nel 1902 e lì trascorse l’infanzia a contatto con il mondo contadino e le sue condizioni di miseria. Conseguito il diploma di maestro elementare, insegnò per qualche anno nel suo paese e nel 1925 si trasferì a Roma, dove si laureò e divenne assistente di Giuseppe Lombardo Radice, avvicinandosi agli studi sul Mezzogiorno. Nel 1941 tornò in Molise come inviato speciale del «Giornale d’Italia» e l’anno dopo darà alle stampe il romanzo che lo consacrerà scrittore di sicuro talento, Signora Ava. Nel 1943 aderì alla Resistenza, affiancando i militanti del Partito d’Azione e del Partito comunista. Tra il 1945 e il 1948 pubblicò varie opere teatrali e narrative. Morì nell’aprile del 1950 e solo due mesi dopo uscirà postumo il suo ultimo romanzo, Le terre del Sacramento.

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E tu splendi – Giuseppe Catozzella #giuseppecatozzella @barbarafacciott

“Allora ho spostato la luce, loro hanno scoperto i visi e ho visto la faccia della fame. Mamma mia, che brutta. Una cosa più brutta al mondo non l’avevo vista mai. Erano umani ma sembravano scheletri, gli occhi gli uscivano fuori dalle orbite. Mi avrebbero mangiato tutto intero, e non avrebbero scartato neanche le ossa. E manco le scarpe, se ce le avessi avute.”

Editore: Feltrinelli
Collana: I narratori

Benedetta influenza che mi ha permesso di finire in poche ore questo libro!
E tu splendi.
Davvero splende questo piccolo grande romanzo che affronta il tema dell’immigrazione in maniera divertente, gentile e toccante.
È un romanzo vero e ciascuno di noi si può immedesimare in uno degli abitanti di Arigliana, il paesino sperduto e fiero delle proprie tradizioni. Non è facile accettare il diverso che si presenta sporco e affamato, bisognoso di tutto.
Saranno i ragazzi i primi che riusciranno ad aprire gli occhi. I bambini, più semplici, più veri. E’ uno di quei romanzi che ti riallinea con il mondo, perchè  racconta una storia potente e felice, fatta di ombre e di luce, semplice come le cose davvero profonde. Un percorso di formazione in cui ognuno di noi è coinvolto in qualche modo e ci si può ritrovare: il rapporto con l’Altro e lo Straniero,  l’elaborazione del lutto, in un viaggio alla scoperta della vita, con stupore e naturale felicità. Un romanzo onesto, che ci ricorda quanto nella vita ci siano persone che vivono nell’ombra, ma ne esistono altrettante che risplendono di Luce.

Grazie a chi me l’ha consigliato!

“Certe volte mi prendeva tutto un desiderio di essere più di me, mi sentivo così piccolo e così grande insieme che sarei voluto scoppiare, e quella era una di quelle volte. Avevo voglia di ballare, oppure di buttarmi sul letto e non alzarmi più, ma sempre così, senza sapere perché. … zì Salvatore … ha detto che capita a tutti quelli che sono vivi di sentirsi così. “E’ perché siamo più grandi di quello che siamo, abbiamo gli occhi che guardano in alto così non ci scordiamo che siamo come stelle”. Quando parlava in quel modo faceva un pó il misterioso , la voce gli addiventava come quella degli uomini dei film mentre sono seduti a bere whisky con una donna bellissima e fumano il sigaro”.

Barbara Facciotto

risvolto

“Una sera di inizio giugno papà ci ha legato al polso un braccialetto ridicolo con il nome della destinazione – la casa dei genitori di mamma – e ci ha spedito in quel paesino sperduto tra le colline della Basilicata, quello da cui lui e nostra madre tanti anni prima erano scappati”: Pietro ha undici anni, quando nel corso di un’estate ad Arigliana, impara tutto quello che c’è da sapere sul Sud e sui meccanismi perversi che lo regolano. La mamma è morta da poco e Pietro continua a parlare con lei; la nonna è accogliente; il nonno sempre accigliato; poi c’è la sorella minore Nina, bisognosa di protezione. Per caso Pietro scopre che nella torre normanna si sono rifugiati sette profughi; il paese si divide rispetto a questa presenza, c’è chi vorrebbe aiutarli e chi no. Finisce che Zi’ Rocco, il boss locale, assume tre di loro con l’intento di abbassare la paga a tutti i suoi lavoranti. Contava sul fatto che tutti avrebbero come sempre incassato il colpo e taciuto ma i migranti vanno dal nonno di Pietro e gli chiedono di riaprire la sua masseria e di offrire un’alternativa a tutto il paese. Nel frattempo Pietro e Nina hanno fatto amicizia con Josh, che è orfano orfano e suona bene il pianoforte… Una favola amara che parla di guerre tra poveri, del sogno di cambiare le cose e della forza eversiva dell’infanzia.