La Vita Agra – Luciano Bianciardi #lavitaagra #lucianobianciardi #recensione

Nel libro c’è tutta l’inumanità in cui è ridotta la folla delle metropoli, la nausea del traffico, il rifiuto del successo, l’ambiguo meccanismo della selezione, il rifiuto del consumismo, la satira del mondo editoriale. Insomma, l’Italia di oggi.

Chiara Ferrari

La vita agra Luciano Bianciardi
Editore: Feltrinelli
Anno edizione:2013

Non me l’aspettavo così, questo libro mito dell’individualismo italiano degli anni 60. Rivoluzionario ai tempi per il taglio ironico e la visione di un mondo del lavoro dove ci sono padroni e sfruttati, ma non con visione politica del periodo, bensì con uno sguardo alla disumanizzazione del vivere borghese. Anzi, di quello che si deve pagare in libertà per poter “vivere borghese”. Lettura divertente (spettacolare la parte dove il protagonista, appena comincia a guadagnare un pochino, viene assediato da gente che vuole vendergli qualcosa), ma soprattutto un libro che nel 1962 parlava di un caso particolare (due giovani che tentano di vivere al di fuori del concetto di lavoro dipendente e campano di precariato e collaborazioni, una vera rarità in quei tempi) che oggi è regola per quasi tutti, con una lucidità e una preveggenza davvero straordinarie. Sembra descriva l’Italia di oggi, un paese che perde i pezzi, in cui il lavoro è disumanizzato, oppure merce rara che ti obbliga a omologarti. E in tutto questo si accentua la disperazione che descriveva l’autore, la discesa a spirale verso un non ritorno dei valori.

Io, lo giuro, non ho paura della morte, ma l’agonia sì, mi fa paura, specialmente quando dura anni, e ti mozza il lavoro, e tu stai male, avresti bisogno di riposarti e di guarire, e invece continuano a tafanarti i padroni di casa, i letturisti della luce, Mara con la comunione e le palline del bimbo, le tasse, i rappresentanti di commercio, i datori di lavoro, i medici, i farmacisti, le cambiali, gli esattori dell’abbigliamento. L’agonia continua fino a che a tutti costoro sembri che ci sia il modo di levarti di corpo qualcosa ancora, e fino a che tu abbia la forza di continuare. Poi lasciano che tu muoia.

Bianciardi ci aveva visto giusto, e di fatto è morto alcolizzato e dimenticato solo dieci anni dopo. Stile molto complesso con intrusioni dialettali e lessico oggi dimenticato, non è semplicissimo da leggere, ma resta un ottimo libro anche nel 2017.

“Riesci a immaginare qui un bambino che giochi? L’altro giorno parlavo con mio figlio e gli promettevo le vacanze. Appena il tempo si fa buono ti porto in campagna, gli dicevo e ti faccio vedere gli animali, il somaro, la mucca, l’agnello. A si? Mi ha detto lui, allora mi fai vedere anche l’elefante? Capisci? Per lui ormai tutti gli animali sono esotici. Per lui la campagna è l’Africa”.

Nicola Gervasini

Un solo paradiso – Giorgio Fontana #recensione #GiorgioFontana @barbarafacciott

Se, come me, amate Milano alla follia (non solo nella settimana del Salone in centro ma negli inverni umidi e nelle periferie), non potete esimervi dal leggere Giorgio Fontana.
L’ho conosciuto alla presentazione del libro “Morte di un uomo felice”, e subito mi sono procurata questo “Un solo paradiso” che è una storia intensa e particolare, e come dice l’autore/narratore, che cosa puoi fare con una storia se non raccontarla?
Una storia d’amore e di vita, e sulla consistenza di sè.

Il libro prende le mosse da un gruppo di giovani amici che,”sotto un’esistenza che poteva apparire frenetica e superficiale”, sentivano “tutti una vibrazione comune. Una febbre che li divorava in segreto e che aveva molto a che fare con i tempi in cui erano cresciuti: tempi di cinismo e solitudine”. Uno di loro, Alessio aveva imparato a vivere coltivando una mediocrità esistenziale, un “dolceamaro contentarsi”. Sì, tutto regolare, fino a che non incontra Martina.

La città è protagonista del romanzo, importante tanto quanto Alessio e Martina che, a Milano si incontrano e qui cominciano la loro storia d’amore.
A lui (Alessio) era toccata in sorte questa condanna: ricordare il modo in cui la città si dispone a teatro, e ogni suo dettaglio – un piccione che becchetta la pozzanghera, l’insegna di una farmacia, l’odore resinoso dell’aria, la bandiera PACE avvizzita di quel davanzale- tutto perde identità e diviene schiavo di due persone soltanto”.
E ancora “amava il modo in cui Milano si lasciava plasmare dal percorso scelto, cambiando pelle dove tutti vedevano solo una coltre monotona di palazzi. Occorreva tenacia: quella città che tanto stancava i suoi amici, per lui custodiva sempre un margine di incanto che gli apparteneva, persino una sorta di mistero”.

L’amore tocca e sconvolge la vita di Alessio facendogli capire “il nuovo stato in cui è immerso – e no, non era uno stato: aveva più la forma di una preghiera, un desiderio indefinito che quella condizione continuasse… per la prima volta voleva assolutamente vivere, e per la prima volta di scoprì oscenamente mortale”.
In una notte d’amore, Alessio comprende così che il dolceamaro contentarsi è “un modo di corteggiare il nulla”. Sfiorando appena la superficie delle cose, sei al riparo da qualunque forma di distruzione.

Bene amici, mi fermo qui. Vi dico solo che se vi sentite oscenamente innamorati, scegliete un altro libro. Mettetevi al riparo perché si può sopravvivere a tanti inferni, ma non a un solo paradiso.
Baci e abbracci

Barbara Facciotto