E tu splendi – Giuseppe Catozzella #giuseppecatozzella @barbarafacciott

“Allora ho spostato la luce, loro hanno scoperto i visi e ho visto la faccia della fame. Mamma mia, che brutta. Una cosa più brutta al mondo non l’avevo vista mai. Erano umani ma sembravano scheletri, gli occhi gli uscivano fuori dalle orbite. Mi avrebbero mangiato tutto intero, e non avrebbero scartato neanche le ossa. E manco le scarpe, se ce le avessi avute.”

Editore: Feltrinelli
Collana: I narratori

Benedetta influenza che mi ha permesso di finire in poche ore questo libro!
E tu splendi.
Davvero splende questo piccolo grande romanzo che affronta il tema dell’immigrazione in maniera divertente, gentile e toccante.
È un romanzo vero e ciascuno di noi si può immedesimare in uno degli abitanti di Arigliana, il paesino sperduto e fiero delle proprie tradizioni. Non è facile accettare il diverso che si presenta sporco e affamato, bisognoso di tutto.
Saranno i ragazzi i primi che riusciranno ad aprire gli occhi. I bambini, più semplici, più veri. E’ uno di quei romanzi che ti riallinea con il mondo, perchè  racconta una storia potente e felice, fatta di ombre e di luce, semplice come le cose davvero profonde. Un percorso di formazione in cui ognuno di noi è coinvolto in qualche modo e ci si può ritrovare: il rapporto con l’Altro e lo Straniero,  l’elaborazione del lutto, in un viaggio alla scoperta della vita, con stupore e naturale felicità. Un romanzo onesto, che ci ricorda quanto nella vita ci siano persone che vivono nell’ombra, ma ne esistono altrettante che risplendono di Luce.

Grazie a chi me l’ha consigliato!

“Certe volte mi prendeva tutto un desiderio di essere più di me, mi sentivo così piccolo e così grande insieme che sarei voluto scoppiare, e quella era una di quelle volte. Avevo voglia di ballare, oppure di buttarmi sul letto e non alzarmi più, ma sempre così, senza sapere perché. … zì Salvatore … ha detto che capita a tutti quelli che sono vivi di sentirsi così. “E’ perché siamo più grandi di quello che siamo, abbiamo gli occhi che guardano in alto così non ci scordiamo che siamo come stelle”. Quando parlava in quel modo faceva un pó il misterioso , la voce gli addiventava come quella degli uomini dei film mentre sono seduti a bere whisky con una donna bellissima e fumano il sigaro”.

Barbara Facciotto

risvolto

“Una sera di inizio giugno papà ci ha legato al polso un braccialetto ridicolo con il nome della destinazione – la casa dei genitori di mamma – e ci ha spedito in quel paesino sperduto tra le colline della Basilicata, quello da cui lui e nostra madre tanti anni prima erano scappati”: Pietro ha undici anni, quando nel corso di un’estate ad Arigliana, impara tutto quello che c’è da sapere sul Sud e sui meccanismi perversi che lo regolano. La mamma è morta da poco e Pietro continua a parlare con lei; la nonna è accogliente; il nonno sempre accigliato; poi c’è la sorella minore Nina, bisognosa di protezione. Per caso Pietro scopre che nella torre normanna si sono rifugiati sette profughi; il paese si divide rispetto a questa presenza, c’è chi vorrebbe aiutarli e chi no. Finisce che Zi’ Rocco, il boss locale, assume tre di loro con l’intento di abbassare la paga a tutti i suoi lavoranti. Contava sul fatto che tutti avrebbero come sempre incassato il colpo e taciuto ma i migranti vanno dal nonno di Pietro e gli chiedono di riaprire la sua masseria e di offrire un’alternativa a tutto il paese. Nel frattempo Pietro e Nina hanno fatto amicizia con Josh, che è orfano orfano e suona bene il pianoforte… Una favola amara che parla di guerre tra poveri, del sogno di cambiare le cose e della forza eversiva dell’infanzia.

Appunti per un naufragio – Davide Enia #DavideEnia #Lampedusa #recensione

Appunti per un naufragio – Davide Enia

Lampedusa. Gli occhi del mondo su Lampedusa, da tanto tempo. Occhi che guardano spesso senza vedere, lo sguardo che scarta di lato verso visioni che siano meno dolorose, che disturbino meno. Occhi miopi che fingono di non vedere.

Il libro di Davide Enia ci offre una prospettiva diversa.
Ci mostra gli occhi di Lampedusa, lo sguardo di Lampedusa che guarda il mare . Ci mostra lo sguardo di chi a Lampedusa vive perché ci è nato , per destino , per scelta, per un tubo rotto che ha determinato una scelta di vita. O perché ha voluto andare lì e fare qualcosa. Sono gli occhi di Paola e Melo che volevano aprire un bed and breakfast, sono gli occhi di Pietro che fa il ginecologo e dovrebbe occuparsi di vita e invece conta forse il più alto numero di riconoscimenti cadaverici al mondo in una zona non di guerra (Pietro, che davanti alle decine di sacchi neri contenti i cadaveri del naufragio del 3 ottobre 2013 prega Dio che nel primo sacco che ispezionerà non ci sia un bambino.
“Si fece coraggio, inspirò e lo aprì. C’era un picciriddo. Poteva avere un paio d’anni …Ma come si fa a lasciar morire una creatura accussì nica? Ma noi, che mandiamo le persone sulla Luna, ma dobbiamo davvero lasciare morire accussì le persone? Come si può lasciare morire in mare una cosuzza accussì nica?”.

E poi ancora, lo sguardo del sommozzatore con le sue domande e le sue risposte sconvolgenti (“Se hai davanti a te tre persone che stanno affogando e cinque metri più in là sta affogando una madre con un bambino, che fai? Dove vai? Chi salvi per primo?), quello dei pescatori, quelli che la notte del 3 ottobre erano in mare, di Gabriella medico volontario, del Comandante della Guardia Costiera e di Alberto, il giovane operatore romano con i dreads e con i suoi gesti pacati.

Guardano il mare, gli occhi di Lampedusa. Perché lo sanno che da quel mare da un momento all’altro potrebbe arrivare di tutto. E di tutto hanno visto arrivare . La vita e tanta, troppa morte. Le speranze, lo strazio, la paura e ancora, malgrado tutto, la fiducia.

Davide Enia ci racconta l’accoglienza, nel senso più puro del termine. L’atto dell’ accogliere , di tendere una mano in acqua per afferrare un corpo, vivo o morto, prima che scompaia per sempre, di afferrare una persona scesa da una barca prima che cada priva di sensi, di tendere un braccio per avvolgerla nel calore di una coperta o per offrire una bevanda calda. Ci racconta la prima linea.
E poi l’esperienza dello stesso Enia sull’isola e nel quadro più grande di quell’Africa che cerca disperatamente di ricongiungersi con l’Europa, ci racconta anche di un altro ricongiungimento, più intimo e personale. Quello con il padre, che lo segue a Lampedusa, e con il quale riprende un dialogo che si era fatto difficoltoso. L’autore offre molto di sé in questo libro. Il rapporto con il padre e con l’amatissimo zio Beppe che chiude il cerchio della sua vita (e di questo libro) ritrovandosi vicino di letto di un ragazzo approdato a Lampedusa, “a combattere insieme per qualcosa di bello come la vita stessa.”

Appunti per un naufragio è un magnifico e dolorosissimo libro, non potrebbe essere altrimenti. Ci ricorda in modo molto esaustivo che per la stragrande maggioranza delle persone che arrivano a Lampedusa il percorso fino lì è stato un calvario. Perché quando scappi da una guerra, cammini fino a che c’è terra e quando ti trovi davanti al mare puoi solo salire su una barca.

Però ci ricorda anche che per quasi tutte queste persone l’approdo è il momento della speranza, della fiducia. Ecco com’ è quel momento visto dagli occhi di Alberto:
“Ho visto le persone appena sbarcate danzare e baciare la terra, alcune pregare, come fanno i mussulmani, sdraiati con la fronte in giù, e altri applaudire e tenere il ritmo con mani e piedi. Ho ricordi bellissimi. Più di una volta è capitato che ragazzi siano arrivati in porto applaudendo e cantando già dalla motovedetta. È proprio una apparizione stupenda assistere di notte alla motovedetta in festa che arriva dal mare buio. Forse vado oltre, ma quella del molo credo che sia una delle parentesi più felici della vita di questi ragazzi, anche perché quello che vivranno di lì a poco sarà ben diverso. Ma dopo tutto quello che hanno passato, dopo la traversata, ecco finalmente la terraferma. Lì sul molo è una nuova nascita, piena di speranze e di gioia. E tu ti ritrovi ad essere la prima persona che li accoglie. Hanno affrontato situazioni terribili, meritano un’accoglienza degna. Per quel che mi riguarda, è un privilegio essere lì, perché onori il loro viaggio, il loro coraggio e anche la loro incoscienza, compartecipando per un breve istante al loro percorso. “

Io, invece, penso che il vero privilegio sia conoscerlo un ragazzo che ragiona come questo Alberto, questo romano dai gesti pacati, perché penso abbia una gran bella testa, dentro e fuori. Sia che abbia ancora i dreads, sia che nel frattempo li abbia tagliati. E penso anche che una testa che ragiona come quella di Alberto sia una gran bella speranza per un futuro un po’ più roseo.

Anna Massimino

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