Le cose – Georges Perec #GeorgesPerec #LeCose

Traduttore: L. Prato Caruso
Editore: Einaudi

Primo romanzo dell’autore, pubblicato nel 1965.
Sylvie e Gerome, parigini, ventenni, abbandonata l’università vivono facendo sondaggi socio-psicologici (“Perché vi piace la purea istantanea? Siete soddisfatti della vostra lavatrice? ).
Vivono in un piccolo appartamento di 35 mq e sognano di diventare ricchi.
Desiderano comprare oggetti che confermino il loro stato di futura ricchezza.
Sognano la ricchezza per comprarsi il tempo di essere liberi.
Ma non hanno nessuna intenzione di dedicare il loro tempo lavorando per raggiungerla. Il lavoro, del resto, toglierebbe loro la libertà di scegliere come impiegare il loro tempo.
E in questo circolo, si consumano i loro sogni.
Passano ore a immaginare cosa farebbero e come sarebbero felici se, improvvisamente, ereditassero da un lontano parente un enorme quantità di denaro.
Comprerebbero la felicità.
Comprerebbero cose.
E l’elenco è infinito, quello su cui l’autore si sofferma a lungo, creando un’atmosfera soffocante, con dettagli fotografici che materializzano nelle pagine, l’oggetto stesso.
Ti sembra di poterle quasi toccare, mentre leggi.
Sembra essere, questo libro, una condanna alla società consumistica /capitalista, e forse la frase di Marx in chiusura aiuta a pensarlo.
Ma vi è solo descrizione e osservazione del profondo legame tra le persone, le cose e l’idea di felicità
Non traspare mai alcun giudizio, anzi vi si intravede un tocco quasi ironico che include l’autore come partecipante di questo divenire.
E credo che la sua grandezza sia proprio in questo. La sua capacità di osservare lucidamente una realtà che lui stesso stava vivendo, distanziandosene. E rendendo evidente il bisogno di avere per essere, il desiderio che scava dentro i personaggi la strada per l’eterna insoddisfazione.
“L’immensità dei loro desideri li paralizzava”.
E i capitoli conclusivi sono sospesi su deserti e città invisibili.
“Gli sarebbe piaciuto essere ricchi. Credevano che avrebbero saputo esserlo. Avrebbero saputo vestirsi, guardare sorridere come persone ricche. Avrebbero avuto il tatto, la discrezione necessaria. Avrebbero dimenticato la loro ricchezza. Avrebbero saputo non ostentarla. Non se ne sarebbero vantati, l’avrebbero respirata. I loro piaceri sarebbero stati intensi.”

Egle Spanò

Descrizione
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David Golder – Irène Némirovsky #nemirovsky

David Golder è un libro che gronda odio, soprattutto verso il denaro e tutto ciò che può essere trasformato in denaro, oggetti e sentimenti, e verso le forme infinite che il denaro può assumere. Oggi, non ci rendiamo conto di cosa sia stato il denaro nel diciannovesimo secolo, o nella prima parte del ventesimo: una fiamma ardentissima, una colata di sangue disseccata, sbarre d’oro sciolte e di nuovo pietrificate. Diventava eros, pensiero, sensazioni, sentimenti, fango, abisso, potere, violenza, furore, come nella Comèdie humaine.

 

Questo è un libro feroce, crudele, spietato. Un libro dove i personaggi non hanno possibilità di redenzione o se ce l’hanno la ignorano. E’ un libro bellissimo.
La storia in se non ha niente di eccezionale: inizi ‘900, un pezzo della vita di David Golder, ebreo ricchissimo e affarista senza scrupoli messo improvvisamente di fronte al suo essere mortale da un attacco di cuore. L’infarto sembra essere per Golder l’occasione di riconsiderare la propria esistenza e cambiare modo di viverla, ma quando si guarda intorno quello che vede scatena il peggio di lui. Anche l’unica traccia di luce del libro (l’amore di Golder per la figlia Joyce) si rivela essere contorto, ossessivo e insano. Golder è consapevole del fatto che questo sarà per lui l’ultimo viaggio, è consapevole dell’ingratitudine di Joyce, è consapevole della propria solitudine: “Alla fine si crepa soli come cani, così come si è vissuti” è la frase con la quale riassume il senso della propria esistenza.

E alla fine è l’idea di denaro a vincere. Il denaro in questo libro è sinonimo non di sopravvivenza, quanto piuttosto di odio, di vendetta, di ripicca e di egoismo. Il denaro è fatica ma deve essere soprattutto ostentazione e sfoggio. Il ritratto della moglie di Golder, che al capezzale del marito improvvisa strategie che le consentano di non avere danni dal suo imminente stato di vedovanza, è eccezionale.
Tutto questo è raccontato con uno stile che la Nemirowsky riesce a mantenere contemporaneamente spietato e lieve e che rende il libro godibilissimo e i personaggi memorabili.
Questo finisce nella mia lista “libri da rileggere”.

Anna LittleMax Massimino