Markus Zusak, Storia di una Ladra di Libri

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Lo disse forte, mentre le parole si spandevano in una stanza colma d’aria fredda e di libri. Libri dovunque! Ogni parete era coperta di scaffalature sovraccariche, e tuttavia intatte: quasi impossibile scorgere la tappezzeria. C’era ogni sorta di stili e di forme di scritte sui dorsi di libri neri, rossi, grigi, di tutti i colori. Era una delle cose più belle che Liesel Meminger avesse mai visto.
Stupefatta, sorrise. Dunque una stanza del genere esisteva!
Persino quando tentò di togliersi dalle labbra il sorriso con l’avambraccio fu subito consapevole che lo sforzo era inutile. Avvertiva su di sé gli occhi della donna, e, quando la guardò, si erano fermati sul suo viso.
Il silenzio era profondo più di quanto avrebbe mai creduto possibile. Teso come un elastico, prossimo a rompersi. La ragazza lo ruppe.
“Posso?”
Quella parola rimase sospesa su ettari ed ettari di terra deserta, pavimentata di legno. I libri erano lontani chilometri.
La donna annuì.
Sì, puoi.

Markus Zusak – Storia di una Ladra di Libri

Bella favola più agra che dolce, ambientata nella Germania della Seconda Guerra Mondiale, tra nazisti incalliti e persone di buon cuore che non accettano tutto quello che sta succedendo a testa bassa senza reagire, pur successivamente pentendosene a causa delle bastarde ritorsioni.
Da leggere con pacchetto di fazzoletti soprattutto per il finale straziante.

Massimo Arena

Markus Zusak – Storia di una ladra di libri

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Cosa mi ha colpito di più in questo libro, a parte il modo in cui è costruito, la scrittura, la storia? Mi hanno colpito i gesti, e nella mia memoria ne ho ritrovato altri, reali o immaginari, in alcuni libri che ho amato.
I gesti di Giorgio Perlasca, un banale commerciante, che un bel giorno si finge console spagnolo.
I gesti della madre di Viktor, oculista, che nel ghetto cura i vecchietti con la cataratta e dice loro che massimo 6 mesi e saranno guariti.
Il gesto della signora greca che nutre Enaiat.
Il gesto di un funambolo che trasmette la bellezza.
E i tanti gesti di questo libro. Uno su tutti: Hans Hubermann, l’imbianchino che suona la fisarmonica, dona il pane.
In questa vita qui, in cui si ritiene di dover coniare una nuova parola, dispregiativa (buonismo, che sostantivo orribile), per sostituire un vocabolo che già esiste ma pare non si possa più nominare senza essere derisi, in questa vita qui io vado cercando, in me e negli altri, questi gesti e ciò che li ha ispirati, un’altra parola al bando, compassione.

Lazzia