La tenerezza dei lupi – Stef Penney

“Clearly the secret of happiness is a variation on the general principle of banging your head against a wall, and then stopping.”

tenerezza

Questo romanzo è stato una vera sorpresa. L’ho trovato in biblioteca e l’ho cominciato senza troppa convinzione, insospettita da quella “tenerezza” del titolo che sembrava preludere ad un Harmony camuffato, e invece alla fine del primo capitolo ero già stata risucchiata nella storia e nell’atmosfera che fotografa. Sì, fotografa, perché l’impressione che i paesaggi, gli interni, i percorsi siano ripresi da un occhio cinematografico è molto vivida.
ll romanzo prende le mosse da un delitto: nel Northern Territory canadese del 1867 il corpo senza vita e senza scalpo di un cacciatore di pelli di lupo viene trovato da Mrs Ross, una donna poco inserita nella piccola comunità in cui vive. Il figlio della donna, ragazzo taciturno, strano, un outsider anche lui, manca da casa dalla sera prima. La neve è alle porte e il rigido inverno canadese sta per colpire con indifferenza il villaggio, i boschi circostanti, il lago, la zona insomma in cui cercare l’ipotetico assassino. Mentre in città convergono inquirenti e personaggi un po’ originali sulle tracce del cacciatore ucciso e si cominciano a formulare ipotesi sulle motivazioni dell’assassinio, Mrs Ross decide, in barba al buonsenso, di avventurarsi alla ricerca del figlio insieme ad un cacciatore di pelli mezzosangue sospettato di essere l’artefice dell’omicidio. Il percorso sarà per Mrs Ross l’occasione per guardare dentro di sé e perdonarsi, o accettarsi, e accettare così le eccentricità altrui, e le permetterà anche di trovare il bandolo della matassa di tutta la vicenda.
Nella narrazione si alternano il punto di vista della protagonista che parla in prima persona, i cui occhi scrutano l’orizzonte e i cui pensieri analizzano i passi che l’hanno condotta in mezzo alla neve, e quello di un narratore esterno che racconta quel che succede lontano dallo sguardo di Mrs Ross, anche attualizzando le vicende con un utilizzo disinvolto e sapiente del presente.
Un ibrido tra il romanzo intimista, qua e là anche un po’ femminista, e il giallo, con degli scorci paesaggistici da togliere il fiato e far venire la voglia di mollare baracca e burattini per partire alla volta del Canada, questo libro finisce in un batter d’occhio nonostante le quasi 450 pagine che lo compongono e lascia un’impronta indelebile, e la voglia di ricominciarlo da capo.

“I force myself to feel the Sickness of Long Thinking.
And then Parker turns back to the dogs and the sled, and keeps walking, and so do I.
For what else can any of us do?”

L’edizione italiana è edita da Einaudi e si intitola La tenerezza dei lupi – Stef Penney (2008)

maria silvia riccio

 

 
“Per usare una frase a effetto si potrebbe dire che con il suo romanzo d’esordio La tenerezza dei lupi Stef Penney ha inventato un nuovo genere: il “Northern”. Vale a dire la variante canadese del western, che sostituisce il deserto dell’Arizona con le distese nevose dell’Ontario.
Sponde settentrionali del Lago Huron, anno 1867. In un piccolo villaggio di coloni scozzesi si consuma un efferato omicidio. Nessun indizio, eccetto una scia di impronte sulla neve che si perde verso nord. Per risolvere il mistero bisognerà seguirle fino all’ultimo avamposto nelle gelide terre settentrionali, e sarà più d’uno a tentare l’impresa. Come nella migliore tradizione, ci sono un colpevole apparente e molti colpevoli possibili. La tenerezza dei lupi è un giallo della stanza chiusa in uno spazio sconfinato. Un thriller in cui risolvendo il caso se ne risolvono altri – rimasti sepolti sotto gli strati del tempo per decenni o addirittura secoli – ma senza l’ansia o la pretesa di risolverli tutti.
Difficile non innamorarsi della memorabile protagonista femminile, che riecheggia le eroine classiche della letteratura, ma con una coscienza tutta moderna. E mentre la si accompagna all’inseguimento dell’assassino ci si accorge che il romanzo del “Far North” compone il mosaico dell’altra frontiera americana. Cacciatori meticci, agenti commerciali, coloni che ancora puzzano di sentina, avventurieri bianchi che sembrano indiani e indiani che sembrano bianchi. Penney è davvero grande nel tratteggiare i personaggi uno a uno, connotandoli indelebilmente. Tutti inseguono qualcosa, gelosi delle proprie aspirazioni, tutti sono “in caccia” e proiettano la loro ombra sul fondale della macrostoria.
Il processo di autonomia del Canada dalla madrepatria inglese è appena agli albori, l’economia dell’entroterra si regge in gran parte sul commercio delle pellicce pregiate, acquistate in condizione di monopolio dalla Compagnia della Baia di Hudson. Sulla piazza di Londra il frutto delle fatiche dei trapper e dei voyager viene venduto a peso d’oro, per finire sulle spalle delle gentildonne che vanno a teatro. Beni di lusso che hanno per matrice la caccia più brutale”.  da http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa14_pag2.htm

Storia del mio bambino perfetto, Marina Viola

Per una recensione completa di Storia del mio bambino perfetto rimando a quanto ha scritto Carlo Mars qui https://cinquantalibri.com/2015/03/31/marina-viola-storia-del-mio-bambino-perfetto/

marina viola

Io avrei solo un paio di cose da aggiungere.
Credo che questo libro possa essere un valido strumento di sensibilizzazione alla diversità, ma poi mi ritrovo a chiedermi quanti tra quelli che non sono già sensibili a questo tema si lasceranno ammaliare dalla storia annunciata nel titolo. Sono cinica, lo so. Spero che i dati di vendita mi diano torto, anche perché Marina Viola ha uno stile che cattura il lettore e non lo molla fino all’ultima riga, ma ho i miei dubbi.
Ho pianto, e ho riso, e ho sorriso tanto mentre percorrevo il racconto della nascita e rinascita e ri-rinascita di Luca, perché la consapevolezza che suo figlio è perfetto ha permesso a Marina di scrivere dell’odissea famigliare con penna leggera anche quando racconta i momenti più tragici del viaggio nella diversità, un viaggio che si affronta con le pietre nel cuore quando la diversità è quella di un figlio.
Il guaio è che non siamo educati alla diversità; non siamo preparati a confrontarci con la diversità, figuriamoci ad accoglierla.
La contrapposizione tra l’atteggiamento di razionalizzazione del padre, Dan, per il quale Luca è semplicemente Luca, fin da subito, e la disperazione che invece travolge la madre, Marina, che inizialmente non riesce a sostituire i sogni di un futuro “normale” con l’incubo di un futuro da diverso per suo figlio a me è sembrata abbastanza paradigmatica. Ho trovato un brano, nel libro, in cui Marina chiede scusa a Luca per non essere riuscita a farlo perfetto, e mi sono resa conto che lo cercavo, come sempre si cerca in quel che ci somiglia qualcosa che inequivocabilmente ci rifletta, come in uno specchio. Ci ho letto quel rovello che non t’abbandona mai – si chiama senso di colpa – sul quando sia successo, nell’antro caldo del ventre, che le cellule hanno deciso di seguire un percorso alternativo a quello che sfocia nella “normalità”: quale sbadiglio, quale starnuto, quale sobbalzo sia stato il responsabile di un cromosoma di troppo, o difettoso, ed è un peso che può gravare solo su chi è passato nella fase matrioska. Ma ci ho anche trovato la capacità di perdonarsi, di guardare oltre e di adoperarsi per trasformare in quotidianità le stranezze di chi interpreta il mondo con parametri insondabili – the pursuit of happiness – perché essere diversi non deve essere per forza una condanna.
Ecco, forse è tutto qui: in questo libro che è un rosario di ostacoli ho trovato sorrisi e carezze e, stranamente, serenità. Serenità sudata, ma ugualmente presente, senza dubbio. E mi ha fatto bene.

E ancora grazie a Carlo per avercelo consigliato.

Maria Silvia Riccio