Incidente notturno – Patrick Modiano #recensione #patrickmodiano

…tanti visi colti per un istante che brilleranno nella memoria con uno scintillio di stelle lontane per poi spegnersi il giorno della nostra morte senza aver rivelato il loro segreto.

Di notte, a Parigi, un giovane viene investito da un’auto (una Fiat color verde acqua) guidata da una giovane donna. L’investitrice lo soccorre e lo accompagna all’ospedale, forse assieme ad un compagno, un signore bruno, distinto… poi il risveglio in una clinica, odore di etere, ricordi confusi.
Il giovane, senza nome, con addosso qualche traccia delle ferite subite e un fascio di banconote lasciate dalla coppia assieme ad un verbale dell’incidente, inizia a girovagare per la città, senza un preciso obiettivo, con un’unica traccia del nome dell’investitrice, avvolto in una specie di nebbia emotiva e psicologica, accompagnato da frammenti di immagini, ricordi che affiorano, e l’odore di etere ereditato dal soggiorno in clinica e usato per dormire e lenire il dolore. In un clima da romanzo giallo, vaga per i quartieri di Parigi, ambienti colti in suggestive immagini preferibilmente notturne, come in un film d’Autore girato in bianco e nero. Nel vagabondaggio qualche squarcio della sua storia, di un padre poco amato, forse losco, una madre assente, una ragazza con cui per un certo periodo si accompagna e poi scompare improvvisamente e qualche indizio che gli fa affiorare il ricordo di un incidente simile avvenuto da un’altra parte quando era più piccolo e forse un incontro con la stessa persona che lo ha investito… Una storia breve, intensa e incalzante, la propria vita come un puzzle di cui non si riesce a venire a capo, i pezzi che non si incastrano, incontri misteriosi e incompiuti, sentimenti che galleggiano dentro senza mai affiorare definitivamente. Personaggi che sono ombre o di cui si intravvedono solo elementi parziali e non risolutivi per dare un senso compiuto alle relazioni avviate…
E poi alla fine l’incontro e il ritrovamento della donna e forse la possibilità che l’incidente diventi un destino.

Non ho letto molto di Modiano, conosciuto, soprattutto fuori dalla Francia, solo dopo aver vinto il Nobel 2014 e forse è uno degli autori per i quali vale più di tutto l’idea che un autore in fin dei conti scrive sempre lo stesso libro: per lui è la ricerca di una identità perduta, la necessità di risalire con fatica il filo delle proprie vicende, dei propri luoghi per dare un senso compiuto a quello che non sembra avere senso. Forse perfino ossessivo e ripetitivo nelle sue tematiche ma ricco di suggestione e capacità evocativa dello scorrere del tempo.

“Ma no, non ho nulla da nascondere… la vita è molto più semplice di quanto tu non creda”.

Renato Graziano

Notre-Dame de Paris – Victor Hugo

notre-dame

Come sempre, quando leggo un classico, trovo difficoltà a dire qualcosa di originale. D’altra parte ripetere cose già dette e scritte da altri, facilmente reperibili sul web, non credo abbia molto senso.

Vi lascio quindi solo le mie impressioni: il libro mi è piaciuto molto. Fondamentalmente è una lunghissima descrizione della Parigi di fine XV secolo, sia dal punto di vista architettonico sia dal punto di vista umano.
In questa ottica, sia la storia non molto originale, perlomeno per noi che lo leggiamo oggi, sia le lunghissime descrizioni, che potrebbero risultare digressioni eccessivamente lunghe, acquistano significato.
Inoltre, molti personaggi secondari sembrano esser più funzionali alla descrizione di una certa fascia di popolazione che alla trama. La madre di Esmeralda, per esempio, rappresenta una donna “perduta” nella prima parte del romanzo e diventa una donna penitente e murata – pratica piuttosto diffusa nel Medioevo – nella seconda parte.

Riassumendo: se cercate un romanzo dove la trama la fa da padrone, ne sarete delusi; se invece volete fare un viaggio virtuale nella Parigi medioevale e non vi spaventano lunghe descrizioni di piccoli dettagli, è il libro che fa per voi!

Cecilia Didone

Il matrimonio di Quasimodo

« Trovarono tra tutte quelle orribili carcasse due scheletri, uno dei quali abbracciava singolarmente l’altro. Uno di quegli scheletri, che era quello di una donna, era ancora coperto di qualche lembo di una veste di una stoffa che era stata bianca, ed era visibile attorno al suo collo una collana di adrézarach con un sacchettino di seta, ornato da perline verdi, che era aperto e vuoto. Quegli oggetti erano di così poco valore che di certo il boia non li aveva voluti. L’altro, abbracciava stretto questo, era lo scheletro di un uomo. Notarono che aveva la colonna vertebrale deviata, la testa incassata tra le scapole e una gamba più corta dell’altra. D’altronde non aveva alcuna vertebra cervicale rotta ed era evidente che non fosse stato impiccato. L’uomo al quale era appartenuto era quindi giunto lì, e lì era morto. Quando fecero per staccarlo dallo scheletro che abbracciava, cadde in polvere. »