Nemesi – Philip Roth #PhilipRoth

Nemesi – Philip Roth
Einaudi, Super ET
Prima edizione originale: 2010
Traduzione di N. Gobetti

Abbracciarsi, baciarsi e ballare come adolescenti malati d’amore ignari di tutto… serve a qualcosa a qualcuno?

Quando muore un grande scrittore ti viene la voglia di rileggere tutto quello che hai letto di lui e magari tappare i buchi dei libri che non ce l’hai fatta a leggere per i motivi più svariati, ed è quello che ho fatto prendendo in mano l’ultimo suo romanzo del 2010 – “Nemesi”, acquistato e poi lasciato nello scaffale, perché per motivi miei famigliari, considerato l’argomento, non ce l’avevo fatta ad affrontarlo.
Qui Roth torna nella sua natia Newark per raccontare di un male drammatico che nel 1944, l’anno in cui si svolge la vicenda, si ripresenta frequentemente e ferocemente con epidemie letali perché ancora il vaccino non è stato individuato: la poliomielite si presenta in quell’estate nel campo scuola estivo in cui il protagonista –ebreo- Bucky Cantor – insegna e gioca a baseball con dei giovani allievi. Due vengono colpiti dal male e muoiono quasi subito, altri sono affetti da forme più lievi. Bucky, dopo una telefonata della giovane e preoccupata fidanzata da una località montana dove l’epidemia non sembra probabile, cede all’idea di trasferirsi da lei in un altro campo che necessita di un educatore. E’ combattuto ma cede a quella che gli sembrerà una diserzione. E il senso di colpa non lo abbandonerà, tanto più che anche al campo di Indian Hill arriva la polio e colpisce un giovane a cui proprio lui, Bucky, provetto atleta, sta insegnando a tuffarsi. E la tragedia personale di Bucky si manifesta quando lui stesso, si scoprirà portatore prima sano e poi affetto dal male. Da allora, Bucky, l’atleta eccelso, l’uomo forte, di sani principi, rispettato ed amato da tutti, distrutto nel corpo e tormentato dalla “colpa”, rinuncia a vivere, ad essere felice, rinuncia all’amore, egli non accetterà mai l’idea che il virus che l’ha reso invalido e che ha devastato la vita di molti bambini sia una tragedia, una semplice e tragica fatalità. La sua vita sarà un’eterna ricerca di un perché senza risposta ed è questa la nemesi di cui Roth ci mette a parte in questo romanzo breve, ma intenso; con un salto in avanti al 1954 scopriremo come si conclude il calvario di Bucky e della sua innamorata Marcia, e lo scopriremo dal racconto di un suo ex-allievo a sua volta affetto dal male che funge da narratore.
Nel libro ritroviamo il tema dell’ebraismo e della persecuzione che sembra incombere su questa gente e sui pregiudizi da cui sono affetti, vedasi la terribile scena iniziale in cui un gruppo di ragazzi di origine italiana si presenta al campo di Newark con l’obiettivo di “portare il virus”, ma vediamo anche l’America ottusa e bigotta di McCarty e la sua caccia alle streghe comuniste, il riflesso della guerra lontana in Europa e della sua tragicità incomprensibile per una nazione non coinvolta e, soprattutto, la solita, ineludibile domanda del perché un Dio, se davvero esiste, può essere così cattivo con le sue creature. E come ciascuno di noi, coinvolto nelle crudeltà del male e del dolore può soccombere o salvarsi solo facendo i conti con i propri sensi di colpa o di innocenza
Grande scrittore, libro perfettamente costruito e “chiuso” nella sua tesi narrativa: ma trattandosi di Roth non ci si sorprende della perfezione.

“Voleva insegnare loro quel che suo nonno aveva insegnato a lui: la durezza e la determinazione, a essere fisicamente coraggiosi e fisicamente in forma, a non lasciarsi mettere i piedi in testa o svillaneggiare da chi diceva che gli ebrei, solo perché sapevano usare il cervello, erano delle checche e dei rammolliti.”

Renato Graziano

La ragazza dai capelli strani – David Foster Wallace #DFW #DavidFosterWallace #MinimumFax

“Non è solo il fatto che Wallace produce buona narrativa – naturalmente è così, ma in un certo senso questo è un aspetto marginale. E non è solo il fatto che è divertente e innovativo e dotato in maniera leggendaria dei vari strumenti di cui un romanziere ha bisogno per fare il proprio lavoro (empatia, intuito, abilità di connessione, perspicacia e aver-letto-tutto-quel-che-esiste-sulla-faccia-della-terra). È un complimento bizzarro dire che in qualche modo la narrativa sembra, per un Howling Fantod, il meno che Wallace è in grado di fare. Wallace ha semplicemente il genere di cervello che viene voglia di frequentare”. Zadie Smith

Stavolta mi ritrovo a dire due parole su un racconto di sessanta pagine di David Foster Wallace, autore che sto cominciando a conoscere in punta di piedi, partendo dai suoi racconti. Piccoli animali senza espressione è contenuto nella raccolta La ragazza dai capelli strani; protagonista qui è il mondo femminile, un team di amazzoni dell’industria televisiva che lavorano nel nevrastenico e claustrofobico spazio della registrazione a puntate di JEOPARDY!, uno show a quiz in cui il presentatore domanda le risposte, e i concorrenti rispondono con le domande. Wallace lavora a tagli narrativi, ci presenta frammenti sconnessi di situazioni datate nel tempo che poi si ricollegano nel flusso narrativo mentale del lettore, aiutato da un momento di digressione logica che Wallace inserisce a un certo punto, e da qualche “indizio” che si nasconde in un dialogo, o in un dettaglio.
All’inizio il racconto fa fatica a ingranare, poi dispiega le ali e ci si immerge dentro come in un assorbimento magnetico, così accentratore e forte che sembra di perdere i confini della propria identità, che si amalgama con la parola come sabbia. La mente si infrange come un’onda che distrugge la sua forma per aderire all’illusionismo, al sadismo analitico dell’attenzione spasmodica e voyeuristica per i dettagli corporali, alla permanenza del mistero che circonda chi riesce a collegare cuore, testa e anima alla pressione di un pulsante, trasformando le nozioni in qualcosa di vivo, di umano, di intenso, di significato.
Julie con la sua pelle compatta e bianca al chicco d’uva e i capelli corvini, brillante, originale, profonda e magnetica; Faye in sella moderata alle onde della sua emotività, un po’ superficiale a volte nell’avvitarsi dei dubbi su cosa pensano gli altri, innamorata senza capire che l’amore, in qualunque forma decida di manifestarsi, è poeticamente ovvio come un’alba lilla, e ovvio così come le onde del mare impediscono al mare di essere, soltanto, un’enorme pozzanghera.
Le altre figure non le accenno perché hanno un po’ fatto da satellite alle due protagoniste.
Bellissimo il “gioco” di improbabilità che fanno le due ragazze quando immaginano una serie di vividissimi racconti sulle loro passate esperienze con gli uomini, in un climax che porta alla cruda realtà del veramente vissuto, che molto spesso supera la fantasia e ha i toni inquietanti del trauma, del silenzio e della solitudine infinita.
Spietata infine l’analisi che risulta, dal gioco delle ragazze, dalla biografia passata dei personaggi e dalle sedute analitiche di Alex, sul mondo degli uomini, che ci appaiono – attraverso lo sguardo di queste donne ferite- come piccoli animali senza espressione, fragili, narcisisti, sadici, superficiali, muti e caricaturali.

La scrittura di Wallace per ora mi è sembrata veramente unica, ha un po’ il fascino di “un filo metallico allo zero assoluto, acutissimo e pallido”, che brilla “a freddo come una luna color limone, abbracciato a una griglia di puro significato”, e mi ha dato l’impressione di un nastro isolante e perfettamente scientifico avvolto intorno a tutto quello che può dare emozione, cioè alla realtà stessa, che viene proiettata a distanza e nello stesso tempo ingrandita e scomposta nel dettaglio con precisione infinitesimale, cercando di annullare tutte le sfumature che di solito circondano le emozioni ( e dimostrando che, per quanto si cerchi disperatamente di annullarle, dirompono lo stesso con tutto il loro magma caotico e imprevedibile).
Una scrittura che rappresenta perfettamente il mondo ipertecnologico, disumanizzante, alienante e quasi spettrale di oggi (se non lo stesso mondo interiore di Wallace), dominato come non mai da una sorta di “autismo delle informazioni”, che collassano e implodono su sè stesse, quando si tratta di vivere veramente, smascherando quella che è la vera natura pulsante, scorretta, carnale e caotica di ciascuno, e ridando voce alle emozioni, tipicamente umane.

Giulia Casini

DESCRIZIONE

Quando fu pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti, nel 1989, la raccolta di racconti La ragazza dai capelli strani confermò David Foster Wallace come astro nascente della nuova narrativa americana: uno di quei rari talenti che, come ha dichiarato la scrittrice Zadie Smith, è magistralmente in grado di «unire testa, cuore e viscere» nella sua scrittura. Un libro che quasi immediatamente è diventato un classico: dagli anni Sessanta di Lyndon Johnson al jazz patinato di Keith Jarrett, dai quiz televisivi ai ranch dell’Oklahoma, dagli yuppies ai punk, dai giovani matematici di Harvard ai proletari della provincia depressa, nelle sue storie Wallace descrive e commenta l’intera cultura americana (e soprattutto le nevrosi, le ossessioni, le passioni, il disagio emotivo di tutto l’Occidente contemporaneo) con un’acutezza e un vigore avanguardistico che ne hanno fatto il caposcuola indiscusso della letteratura post-postmoderna e a distanza di quasi trent’anni mantengono inalterata la potenza di questo libro.