Tutto quello che non ricordo – Jonas Hassen Khemiri #recensione #Iperborea

Neanche trentenne, Samuel si è schiantato in macchina a tutta velocità contro un albero, per imprudenza o più probabilmente per scelta, forse per calmare la delusione del tradimento simultaneo da parte di tutti coloro che amava e dai quali credeva di essere amato. Un giovane scrittore incontra tutti quelli che lo conoscevano per ricostruire attraverso le loro parole chi era veramente Samuel: l’amico speciale Vandad, ora in carcere; la Pantera, artista underground a Berlino; il grande amore Laide, attivista per le donne migranti; l’arzilla nonnina a cui la malattia sta strappando la memoria.

pulce

C’è una storia da ricostruire e per farlo occorre ascoltare chi ne ha preso parte. La storia è quella di Samuel (e forse non solo la sua). Chi la racconta sono il suo migliore amico, la sua migliore amica, la donna con cui ha avuto una relazione, lo scrittore che decide di farne un libro, qualche familiare (la nonna è il deus ex machina, ve lo dico subito). Le voci si alternano restando riconoscibili, perfettamente riconoscibili, quasi come se una luce orientata illuminasse di volta in volta la voce narrante, voci-luce su un palco che resta al buio, voci illuminate una alla volta, mentre tutto il resto è nero e silenzio. Immagino corpi seduti, abiti distratti, espressioni del viso che insinuano dove stia la verità, verità che è ovunque e in nessun luogo. La storia di Samuel diventa storie diverse. Gli sguardi e la memoria di chi ce lo racconta si muovono in parallelo. Ci sono dettagli che corrispondono e sfumature che spaccano tutto, che rimettono in discussione ogni cosa, prova che il ricordo è un diamante che ciascuno taglia per mano della propria sensibilità. Non esiste un unico sguardo e spesso ciò che scopriamo da chi osservava da un’altra angolatura la medesima situazione ci mette a repentaglio il sentire. Conserviamo ciò che ci conforta, ammettiamo ciò che riusciamo a tollerare, crediamo al privilegio del nostro punto di vista, scaviamo nei sedimi delle vite degli altri per risolvere, in qualche modo, la nostra. Accusiamo noi stessi nella misura in cui qualcuno si è accusato prima di noi, scoprendo il fianco, concedendoci l’alibi, la mattanza dei se.
Samuel è se stesso e tutti quelli come lui, la scia lasciata da chi parte per non tornare senza aver lasciato un biglietto d’addio (o forse avendone lasciati molti), la colla e il diluente, la trasparenza e l’inafferrabilità, la sostanza straordinaria delle fasi di luna.
Originale e ben scritto. Denso e profumato. Buona lettura amici.

Rob Pulce Molteni

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