
Ennò che non m’annoio, non m’annoio, io no che non m’annoio.
Perché quando necessito di qualcosa che mi porti via ma davvero, in altri mondi, in un viaggio periglioso ma fecondo, lungo come si conviene e ricco d’incontri e suggestioni, io non posso fare a meno di rivolgermi ai Signori Classiconi, mappazzate di pagine personaggi luoghi storie e so per certo che ne uscirò giuliva. Stavolta la scelta è caduta, dopo decenni, sul Conte, sull’Abate, su Sinbad, sul Lord. Me lo ricor…davo poco ed è stato con piacere quasi nuovo di zecca che me lo sono goduto. E vabbè, non voglio fà la banalona, ma inzomma se sò classici ci sarà un perché. Anche io, come Sara amo le storie corpose, i fili che s’entrecciamo eppoi via via che procede la narrazione se snodeno pian pianino, amo la proliferazione dei personaggi e le descrizioni dei paesaggi, dei palazzi, del cibo, degli oggetti, dei protagonisti. Forse pecco di immaginazione, po esse. Trovo tuttavia un gusto prelibato nel figurarmi le robe descritte minuziosamente, dove nulla è tirato via ma accompagnato con precisione certosina. Mi sento satolla e soddisfatta, alla fine. Nessuna recriminazione, nessun rimpianto. Ho trovato ogni cosa. Eccoli, i Classici.
Nell’osare tuttavia un paragone inosabile, dirò che ciò che mi regalano i miei Russi è inarrivabile, attirandomi le ire funeste di molti sosterrò strenuamente che il padre Alexandre sia un cincinino troppo d’appendice, spingendomi oltre arriverò a dire che la vendetta è un sentimento che tenderei a rifuggere e aborrire, e che non sempre si nota una spessa e sostanziosa profondità di pensiero. Ma ciò soltanto per amor di paragone e di disputa, Classicone versus Classicone.
Dopodiché, GIU’ IL CAPPELLO.
Il conte di Montecristo – Alexandre Dumas
Lazzìa