Il fondo della bottiglia – Georges Simenon #GeorgesSimenon #Adelphi

«In fondo P.M. non conosceva per niente il fratello. A parte qualche vago ricordo d’infanzia, lo conosceva meno di un estraneo appena incontrato. A Emily Donald chiedeva regolarmente soldi, nelle sue tasche dovevano essere finiti tutti i risparmi della sorella. Di sicuro la impietosiva con qualche frase ben congegnata, le parlava di Mildred, dei bambini. Probabilmente aveva provato a batter cassa anche dal padre. «Quelli come lui, che parlano con compiacimento della propria sfortuna e della propria onestà, credono che tutto gli sia dovuto».

Traduzione di Francesca Scala
Biblioteca Adelphi
2018, pp. 176

Torna a trovarci periodicamente il grande vecchio Georges da sempre nella top ten dei miei dieci preferiti. Avevo acquistato sulle bancarelle anni fa la vecchia edizione Medusa (1956) de “Il fondo della bottiglia” conservandola gelosamente in attesa di incrociarla con la riedizione Adelphi, con il suo magnifico progetto di pubblicare l’opera omnia di Simenon. Leggendo in maniera sovrapposta stralci delle due traduzioni ho la conferma della scrittura sobria, essenziale, e nello stesso tempo potente, tale da non lasciare grande spazio all’interpretazione arbitraria dei traduttori, anche questo un segno di modernità e classicità dello scrittore. Interi brani sono quasi perfettamente sovrapponibili.

E’ uno dei romanzi “americani” dell’autore, che lo scrive nel 1948 a Tumacacori, in Arizona, sul confine con Nogales in Messico. E qui è ambientato l’incontro- scontro di taglio quasi biblico dei due fratelli divisi fin da piccoli in due traiettorie divergenti: uno “buono” – Pat, detto P.M.. che si costruisce partendo dal basso una carriera da avvocato e un matrimonio da benestante con tanto di ranch di proprietà della ricca moglie. L’altro – Donald – che sposa una donna modesta ed umile e che da buono a nulla finisce in carcere per una rapina con tentato omicidio di un poliziotto. Attorno a loro, coprotagonisti, una natura fatta di terre aride e dure da coltivare, siccità alternata a violentissime piogge che ingrossano fiumi che creano barriere naturali e psicologiche col confinante Messico e gli amici di PM, altrettanto benestanti, un circolo di ricchi fattori e notabili della piccola città che allevano mandrie, giocano a carte e bevono continuamente fino a stordirsi. Donald arriva in fuga dal carcere per raggiungere moglie e figli oltre il confine, ma la piena del fiume Santa Cruz lo getta come una scheggia impazzita nella piccola comunità di rancheros benestanti cui appartiene il fratello, cui chiede rifugio. Ha bisogno di aiuto da un fratello che, forse, si è sempre voltato dall’altra parte rispetto all’impresentabile parentela: ma forse è troppo tardi, o forse no, per rimediare alle fratture di una vita intera. Si corre, assieme alla tumultuosa acqua del fiume, in piena alla resa dei conti.
I biografi di Simenon leggono nella vicenda dei due fratelli il richiamo alle tragiche vicende personali dell’autore, quando al fratello Christian, condannato a morte in contumacia per aver coadiuvato le SS in una spedizione punitiva che aveva fatto ventisette vittime, Georges aveva consigliato di arruolarsi nella Legione straniera, dove il giovane, ai primi di gennaio del 1948, morì tragicamente.
Simenon, espressamente, dichiara la totale dimensione immaginaria di persone e situazioni. Non lo dice quasi mai per i suoi romanzi.
Appunto.

Teneva il bicchiere in mano, guardando distrattamente il pallido goccio di whisky rimasto sul fondo. Sembrava che volesse ritardare il piacere di bere l’ultimo sorso e forse era proprio così. Alla fine, quando lo ebbe mandato giù, continuò per un pezzo a fissare il bicchiere vuoto.

Renato Graziano

Elias Portolu – Grazia Deledda #GraziaDeledda

 
Il matrimonio e l’infedeltà sono temi che non appassionano più nessuno, per certi versi. A meno che non siano raccontanti da una donna che conosce e indaga l’animo umano, e ne riporti vividamente i tormenti, i dubbi e le lacerazioni.
Se poi questa donna ne parla nel 1903, direi che tutto assume un significato ben più interessante di ciò che la semplice trama racconta.
La Deledda sceglie di rappresentare la fragilità in un uomo, Elias, apparentemente forte, rude, e lo fa con una forma intimistica. I dubbi e i tormenti di Elias non si trasformano quasi mai in dialoghi, se non con quelli fatti con sè stesso, quasi a voler insistere sul destino che l’uomo, come una “canna al vento”, non può vincere né cambiare.
Elias è un uomo indeciso, travolto dalla passione per Maddalena che diventa presto moglie di suo fratello, per cui inevitabile si aggiunge il senso di colpa.
Il fuoco della passione e dell’amore per la vita si trova ad essere però sempre in contrasto con l’incapacità di agire del protagonista, in fondo Elias non sa mai quale sia la cosa giusta da fare e le sue poche azioni sono dettate da un forza istintuale della quale poi si pente.
Si prova compassione leggendo la storia di Elias, ma anche disprezzo e questi due sentimenti diventano specchio nel lettore dei tormenti del protagonista, al punto tale che non si riesce ad avere una posizione precisa sulla questione della lotta tra vita e morale.
Poetica è la corrispondenza degli stati d’animo dei personaggi con il paesaggio e il susseguirsi delle stagioni.

S’avanzava l’autunno, portando una dolce melanconia nella tanca. Nei giorni vaporosi il paesaggio pareva più vasto, con misteriosi confini oltre il velato limite dell’orizzonte; e una solitudine più intensa gravava sulle tanche; gli alberi, le pietre, i cespugli assumevano qualche cosa di grave come se anch’essi sentissero la tristezza autunnale. Grandi corvi lenti e melanconici sorvolano il cielo pallido; l’erba di autunno rinasceva sulle stoppie annerite dalle abbondanti piogge cadute ultimamente. La greggia pascolava in lontananza; qualche grazioso agnellino d’autunno, bianco come la neve, belava con lamenti di bimbo viziato”.

Insieme a Pirandello, la Deledda si insinua in temi che alimentano ancora oggi gli studi della psicologia moderna, come il contrasto tra illusione e realtà, il sentimento del contrario, e la casualità, l’imprevedibilità, la relatività delle vicende umane.

Figlio mio, piccolo figlio mio” gemette fra sé “tu muori ed io non ti ho amato, ed io, invece di amarti, di curarti, di strapparti alla morte, mi sono perduto in un vano rancore, in una vana gelosia…Ed ora tutto finisce, e non c’è più tempo, non c’è più tempo a nulla…”.

E in questo suo primo romanzo, attraverso uno scenario e dei personaggi che sono inconfondibilmente sardi, ci suggerisce momenti di silenzio interiore e riflessioni che appartengono ad una dimensione mitica dell’uomo.

Egle Spanò

«Giorni lieti s’avvicinavano per la famiglia Portolu, di Nuoro. Agli ultimi di aprile doveva ritornare il figlio Elias, che scontava una condanna in un penitenziario del continente; poi doveva sposarsi Pietro, il maggiore dei tre giovani Portolu. Si preparava una specie di festa: la casa era intonacata di fresco, il vino ed il pane pronti; pareva che Elias dovesse ritornare dagli studi, ed era con un certo orgoglio che i parenti, finita la sua disgrazia, lo aspettavano. Finalmente arrivò il giorno tanto atteso, specialmente da Zia Annedda, la madre, una donnina placida, bianca, un po’ sorda, che amava Elias sopra tutti i suoi figliuoli.»