Carlos Ruiz Zafón, Le luci di settembre

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Durante l’estate del 1937 Simone Sauvelle, rimasta all’improvviso vedova, abbandona Parigi assieme ai figli, Irene e Dorian, e si trasferisce in un piccolo paese sulla costa per sfuggire agli ingenti debiti accumulati dal marito. Trova lavoro come governante per il facoltoso fabbricante di giocattoli Lazarus Jann in una gigantesca magione chiamata Cravenmoore, dove l’uomo vive con la moglie malata. Tutto sembra andare per il meglio. Lazarus si dimostra un uomo gradevole, tratta con riguardo Simone e i figli, a cui mostra gli strani esseri meccanici che ha creato – e che sembrano avere vita propria – mentre Irene si innamora di Ismael, il cugino di Hannah, la cuoca della casa. Ma eventi macabri e strane apparizioni sconvolgono l’armonia di Cravenmoore: Hannah, viene trovata morta e una misteriosa ombra si impossessa della tenuta. Spetterà a Irene e Ismael lottare contro un nemico invisibile per salvare Simone e svelare l’oscuro segreto che avvolge la fabbrica dei giocattoli, un enigma che li unirà per sempre e li trascinerà nella più emozionante delle avventure in un mondo labirintico di luci e ombre.”

Sabato 31 gennaio, ore 00.15: “Leggo un capitolo e spengo”. Ho spento la luce a libro finito due ore e 140 pagine dopo.
Chi è Carlos Ruiz Zafón? E’ un amico fidato, fedele ai propri stilemi, forse un po’ ripetitivo, ma si può perdonarlo.
In “Le luci di settembre” si ritrovano i temi cari all’autore: l’amore, l’amicizia, gli angeli, gli automi, il doppio, il metafisico… tutto condito con abbondante salsa gotica.
Chi ha letto “Marina” potrebbe pensare a un “déjà lu”, ma il libro a mio avviso merita. ****

diegoliano Zetti

Zerocalcare, Dimentica il mio nome

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Quando l’ultimo pezzo della sua infanzia se ne va, Zerocalcare scopre cose sulla propria famiglia che non aveva mai neanche lontanamente sospettato. Diviso tra il rassicurante torpore dell’innocenza giovanile e l’incapacità di sfuggire al controllo sempre più opprimente della società, dovrà capire da dove viene veramente, prima di rendersi conto di dove sta andando. A metà tra fatti realmente accaduti e invenzione.”

Zerocalcare lo scoprii negli anni ’60, eravamo io, Fidel, Pago Pegna, Sotomayor e Teofilo Stevenson.
No, ho conosciuto Zerocalcare dai fumetti sul blog, ne ho seguito l’evoluzione nei libri e in questa graphic novel (perché così si chiamano oggi) ho trovato un autore incredibilmente maturo.
Un misto di autobiografia e fantasia, un viaggio lungo un secolo ma con i piedi ben fermi a Rebibbia.
Non è Dostoevskij, è addirittura a fumetti ma sticazzi: primo punteggio pieno dell’anno. *****

Diegoliano Zetti