Una sfida all’intelligenza e, perchè no, alla pazienza del lettore, chiamato a scendere in profondità (ahi, la fatica dello scavo), nelle pieghe delle lingue, delle teorie psicologiche e filosofiche, dell’italico contesto storico e sociale, accompagnato dall’ironia disperata dell’Autore e dalla sua sorvegliatissima sensibilità.
E’ stata una fatica immensa. Inframmezzata da pagine dorate, ma sempre una fatica.
Ho capito il senso.
Ho capito che Gadda non intendeva certo scrivere un classico giallo.
L’omicidio e le indagini sono sempre un classico della letteratura, e lui di certo dai classici ha attinto, ma non voleva di sicuro copiare niente.
Ho capito che qui voleva rappresentare l’animo umano.
Con tutti i difetti, le bassezze, la povertà d’animo, il denaro che tutto guida e tutto vince.
Un’elencazione infinita di tipi umani, le loro manie, le loro fissazioni, le ipocrisie, le bugie, il tirare avanti alla meglio, la lotta per la sopravvivenza quotidiana, la giornata da condurre al termine in ogni modo, le gelosie, le invidie, le chiacchiere. Una visione pessimista.
Ma è l’ironia, che salva tutto. Forse.
Ho capito, almeno spero, il messaggio.
Ma il problema è lo stile. E direi che sia un grosso problema, perché penso che questo romanzo abbia un suo esclusivo essere proprio per lo stile adoperato, è proprio per lo stile, che è divenuto famoso.
E’ una fucina di neologismi, di dialetti mescolati, ci si sente molisani, nella pagina seguente napoletani e infine romani de Roma. L’Italia descritta è quella di quasi cento anni fa, eppure ci si può ritrovare benissimo, non ci si sente sperduti, ci si sente a casa.
L’ironia si taglia a fette, come l’attacco continuo al fascismo e al Mascellone, non ci sono sconti, non ci sono pause, in questo. L’attacco alla borghesia del periodo dittatoriale, alla sua burocrazia, ai suoi miti fondanti, la virilità maschile e la visione della donna che deve essere sottomessa e feconda, la facciata sorridente e coesa delle famiglie che invece nasconde sopraffazione violenta, insomma un attacco nucleare globale al Pelatone e a tutta la sua “visione” della vita e della politica.
Sono belli i dialoghi, sono belle le descrizioni psicologiche dei personaggi, e riesce a farlo in poche righe.
Ma resta la fatica disumana nel seguire i vocaboli, questa pioggia, questa tempesta di metafore, di similitudini, di aggettivi, momenti in cui la voce del narratore si mescola con quella dei personaggi, e decine di digressioni impressionanti, interminabili, che ti trasportano in mondi lontanissimi dalla trama del romanzo, mentre sei lì a cercare di capire chi ha trafugato un topazio, ecco che ti ritrovi a seguire i comportamenti di una gallina e delle sue feci, e a cui cui nessun ombrello può porre riparo, e che ti costringono a rallentare la lettura fin quasi a fermarti, in senso globale, perché confesso che più di una volta ho avvertito l’impulso di chiudere definitivamente il libro e portarlo in cantina per dimenticarlo per sempre, causa frustrazione. Quando ti capitano intere pagine in cui praticamente non capisci nulla, causa neologismi, è dura andare avanti. Devi intuire, molto più che capire, spesso non serve a niente ricorrere al vocabolario.
Ma essendomi interstardito, ce l’ho fatta, a concludere.
Il mondo, per Gadda (e dagli torto…), è un inesplicabile groviglio, di situazioni, di sentimenti, di individui, ognuno a sè stante, ognuno a sua volta pieno di contraddizioni, di azioni e reazioni in contrasto tra di loro, e figuriamoci il groviglio che viene fuori quando le azioni e reazioni dei vari singoli si intersecano tra loro. Nessuno ci può capire niente. L’incoerenza travolge e sommerge l’umanità intera. Tanto che non importa e non ha senso nemmeno dare un finale al romanzo stesso, che resta sospeso, alla mercè di ogni interpretazione possibile da parte di chiunque lo abbia letto. Non contano i fatti, conta il modo in cui vengono raccontati.
“Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuoi dire gomitolo”.
Un libro che è commedia, che è tragedia, che è poesia.
“Intrappolata dentro il suo gabbione, la campana grossa de li scolari principiò dondolare a sua volta, dagio adagio, con un fremito quasi inavvertito in sulle prime, con un rombo tuttavia sospeso nei cieli, come d’un’ala metallica. L’onda si dilatava lieta sui penzieri, sui terrazzi, ne vibravano i vetri chiusi delle case, ogni più addormita finestra. Una vecchia nonna su la canofiena, che prendesse ritmicamente l’aìre: e grattugiava fuori il suo susurro dolce e un tantino acquoso…Vrùn, vrùn, vrùn, vrùn!…quer segnale de calabrone a pendolo t’oo mollava con tutto er core, a ogni corpo de tutto culo che je dava, da poté pijà la spinta in avanti…Quella perorante cautela avvicinava il male per gradi, in una modulazione sommessa:..il male del ridestarsi a conoscere e a rivivere la verità d’ogni giorno…Ce durava na mezz’ora a cresce, dagio adagio, e n’antra mezzora a piantalla.”
Un libro eccessivo, in tutto. Un Libro che ha sfidato la mia intelligenza, e ha ovviamente vinto.
Musica: Ma che ne so, Gabriella Ferri
https://youtu.be/Fa-3SL5RELM…
Carlo Mars