Le vergini suicide -Jeffrey Eugenides #verginisuicide #JeffreyEugenides @barbarafacciott

‘Per la maggior parte della gente’ diceva ‘il suicidio è come una roulette russa. C’è solo una pallottola nel tamburo. Invece la pistola delle sorelle Lisbon era carica. Una pallottola per l’oppressione dell’ambiente familiare. Una per la predisposizione genetica. Una per l’inquietudine legata al contesto storico. Una per l’impeto del momento. Dare un nome alle altre due pallottole è impossibile, ma ciò non significa che non ci fossero.’

Le vergini suicide – Jeffrey Eugenides

Editore: Mondadori
Anno edizione: 2008

Che fatica finire questo libro! Ho iniziato a marzo e, nel mezzo, ho letto di tutto! Fino all’ultima pagina mi sono domandata se valesse veramente la pena immergersi in questa atmosfera malsana che sa di fiori possi, di polvere e sporcizia, di chiuso e superstizione.
Davvero in questo libro c’è tutto quello che non vorresti vedere mai. Un paese della provincia americana, chiuso e chiacchierone, dove tutti mormorano e nessuno prova a stringere un rapporto, un’amicizia vera con queste povere ragazze. Una famiglia con una madre dispotica e instabile ed un padre (che è pure un insegnante!) ancor più impalpabile delle figlie, e cinque sorelle abbandonate completamente a sè stesse. Una casa che diventa piano piano lo specchio delle anime malate che la popolano. E nessuno spiraglio di luce, nè un amico, nè un insegnante, nessuno.
È talmente tutto assurdo che ti domandi se siano esistite davvero queste sorelle o se tutti sia opera della fantasia dei narratori: un gruppo di ragazzi locali vittime di un’infatuazione morbosa per le ragazze, un amore platonico vissuto attraverso soli dettagli, una passione lontana nutrita da irraggiungibilità e microscopici dettagli raccolti dal quotidiano e custoditi con cura e gelosia. Ragazzi pettegoli che, dopo vent’anni si prendono la briga di raccontare – narrandola con una voce collettiva – la terribile vicenda; a
cui tra l’altro non si dà alcuna spiegazione se non nell’ultima pagina del romanzo.
Una cosa si può affermare. Se ho resistito è per la tecnica narrativa di Eugenides, maestro assoluto e indiscusso.

“Si fermavano di colpo, abbassavano lo guardo e scuotevano il capo come se fossero in disaccordo con la vita. La gente riferiva di averle viste vagare per Eastland, nel centro commerciale pieno di luci, di fontane timide e di hot dog infilzati sotto le lampade a raggi infrarossi. Ci si sdraiava su un rimasuglio di moquette, nel seminterrato dei Kriegers, a sognare di tutto ciò che avremmo potuto fare per consolare le sorelle Lisbon”.

Barbara Facciotto

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Le vergini suicide – Jeffrey Eugenides

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La storia delle cinque sorelle Lisbon, adolescenti suicide nel giro di un anno.
La storia è raccontata dai ragazzi del quartiere, coetanei delle sorelle, che non smetteranno anche dopo i fatti di considerarle come una unica entità, inesplorata, misteriosa, affascinante come può esserlo tutto ciò che emette vibrazioni penetranti, ma distoniche.
Realizza in maniera perfetta l’atmosfera grigia, opprimente, forzatamente simbiotica, nella quale le sorelle vivono e che le porterà alla scelta estrema. L’unica via che le porterà a respirare aria nuova, ad essere libere… o se non altro a non soffrire più.
La descrive così bene che a pag. 11 ci prova Cecilia, la prima, ma ci riesce solo al secondo tentativo a pag. 31. E poi non accade più ‘nulla’ fino a pag. 197 quando muoiono nella stessa notte Bonnie, Lux, Mary e Therese. E intanto anche io pensavo qui se non muore qualcuno entro poco, beh allora muoio io, perché non se ne può piu. (Confesso di averlo comprato perché avevo adorato l’atmosfera di dolciastra malata prigionia del film… che qui assolutamente manca, sostituita da una specie di odore di chiuso)
Sul retro di copertina uno stralcio di recensione che descrive il libro come il Giovane Holden degli anni Novanta.
Insomma a mio parere questo libro fa troppi morti. Cinque incolpevoli sorelle adolescenti, parte della mia anima che si è avvizzita con loro per poi liberarsi, come loro, di un fardello troppo grande da portare, e anche il povero Mr. Salinger perché va bene tutto, ma vuoi mettere le anatre di Central Park.

federica g.

stefano l.: Posso dirvi solo che secondo me Eugenides è il vero discendente della tragedia greca, la fa davvero sua, la rende contemporanea. A partire dal “coro” dei ragazzini che racconta la storia, in una dimensione plurale e come senza tempo. Poi dal punto di vista di come costruisce l’universo femminile alla greca, come una stanza chiusa di cui si può solo fantasticare ma non capire. Poi nei dettagli con cui grida una domanda di senso che resta inevasa, portando a un finale in cui dice che alla fine il senso delle morti delle sorelle Lisbon resta un atto che tutti loro cercheranno sempre di capire ma che non riusciranno mai a colmare.
Secondo me merita, ma il vero capolavoro di Eugenides è Middelsex. Leggilo se ti va di dargli una seconda possibilità.

DESCRIZIONE

Le vergini suicide è un romanzo scritto da Jeffrey Eugenides, pubblicato nel 1993.

Il romanzo, attraverso un narratore collettivo che si fa portavoce di un gruppo di ragazzi, racconta a vent’anni di distanza la vicenda delle cinque giovani sorelle Lisbon, oggetto proibito della loro adolescenza. Le ragazze sono avvolte in un’aura di mistero che la tragica fine comune – tutte si tolgono la vita nel giro di un anno – ha fissato per sempre. Nella memoria di questi loro spasimanti, divengono il simbolo della possibilità perduta di avere un fremito in un mondo ordinario degli Stati Uniti d’America suburbani degli anni settanta. Dal romanzo è stato tratto un film da Sofia Coppola, dal titolo Il giardino delle vergini suicide.

Sorelle Lisbon. Un sogno, un’ utopia romantica, una divinità pentacefala, un’ idealizzazione estrema e dolce del mondo femminile. Questo secondo il pensare di chi negli anni si è crogiolato nella rievocazione di un’adolescenza fatta di passioni incontenibili, ma anche investita dal gelido soffio della morte.
Dipartita volontaria, decesso autoinferto, suicidio: stessa decisione per le ragazze, passate nel mondo dei più nel giro di un anno. Amore spassionato e senso di colpa per la comunità giovanile ossessionata dalla misteriosa (im)perfezione di quei corpi ricoperti da abiti sempre stuzzicanti nonostante non di foggia recentissima e piuttosto mortificanti delle forme, dei loro capelli profumati, di labbra agognate raggiunte solo da pochi eletti. Cala il sipario, non sul ricordo, alimentato dall’autore che trova picchi di incredibile pathos e restituisce al lettore un amore platonico eppure talmente veemente da sopravvivere alla morte e all’implacabile scorrere del tempo.