Il terzo tempo – Lidia Ravera #LidiaRavera @barbarafacciott #recensione

A me che leggo (con gli occhiali) e divoro libri, la Ravera da “Porci con le ali” è passata a scrivere libri e blog sul benedetto terzo tempo. Ed è proprio benedetto perché questo tempo ci dà finalmente la libertà di essere quello che abbiamo sempre voluto.
La Ravera lascia aperta la categoria della possibilità e, in queste pagine, piene di montagne russe, in cui accadono le cose sempre in maniera diversa da come ti aspetteresti, c’è posto anche per un monaco guaritore, per un amore che si credeva finito invece irrompe protentemente, per i ricordi ammorbiditi dall’esperienza, per i ripensamenti e i cambiamenti. Grande empatia per la situazione psico/fisica dei sessantenni, e un po’ di malinconia struggente, inevitabile quando si tratta di vite pienamente vissute.

L’ho scelto perché sogno una vecchiaia come la immagina l’autrice del romanzo: radunare in una casa bella, in un luogo simbolico, dei vecchi amici con cui si è condiviso l’impegno giovanile in modo da spartire le fatiche e gli affanni. Io, ovviamente, farò la cuoca.

Insomma un gran bel minestrone che si sorbisce volentieri, nella canicola estiva.

<<la vecchiaia è la resa a un finale scontato. Ha la morfologia della tragedia. (..) genera innanzitutto i negazionisti, quelli che la vecchiaia non esiste, e se esiste capita solo agli sfigati. Poi ci sono i nostalgici del passato, nelle due varianti: lirici ed acidi. I primi sono inoffensivi, i secondi rosi dall’invidia. Più articolati i martiri della dissociazione positiva: quelli che di dichiarano vecchi fuori e giovani dentro, come se, arrivati ad un certo punto, non si avesse più diritto ad essere interi. Ultima categoria, i partigiani del rimpianto(..) in genere si tratta di vecchi ferocemente incazzati con se stessi e perciò costretti prima o poi a ricorrere ai farmaci. Antidepressivi, ansiolitici, sonniferi>>

<<voleva lasciarli soli (..) Le piaceva immaginare gli amori degli altri, era il solo strumento a sua disposizione per darsi pace del silenzio dei sensi cui le pareva di essere condannata (..). Le piaceva che i figli, il suo ma anche quelli degli altri, amassero. Che si amassero. Che dai figli nascessero figli che avrebbero amato. Era l’unico possibile senso della vita, un primitivo e perfetto percorso obbligato dove la fine si incontra con l’inizio, chiudendo il cerchio>>

<<come faccio a spiegarti che è successo qualcosa in questo viaggio?
“Tu fai sempre succedere qualcosa, è una tua specialità, sei sempre stata così, sempre stata”
Quando mi vuole insultare, quando vuole veramente farmi male, Dom mi inchioda alla continuità. Sempre stata così. Sempre stata. Mi nega il cambiamento, cancella tutte le mie illusioni di sviluppo.>>

Barbara Facciotto

 

Le ragazze – Emma Cline #recensione #emmacline

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Ho impiegato due settimane per leggere le 334 pagine di questo libro, non perché fosse troppo lungo ma perché ogni volta che lo posavo non mi sentivo invogliata a riprenderlo in mano. Più volte mi sono detta: quasi quasi scrivo sul gruppo se qualcuno lo sta leggendo e cosa ne pensa, ma poi ho pensato che se non lo finivo non potevo leggerne un altro (eh sì, sono fatta così!).
Ma poi sono riuscita a finirlo, e non mi è dispiaciuto del tutto.

La storia è ambientata in California nell’estate del ’69 con protagonista Evie, una quattordicenne in cerca di qualcuno che le dedichi un po’ di attenzioni dopo la separazione dei suoi, anche se a raccontarcela è Evie dei giorni nostri, ormai sessantenne. Un giorno mentre è al parco vede arrivare un gruppo di ragazze, magre, sporche, coi capelli al vento e decisamente non curanti di quel che può pensare la gente circostante, così decide di volerle conoscere meglio. Una serie di eventi la porta ad avvicinarsi al gruppo nei giorni successivi e da lì il passo è breve perché il gruppo sa bene cosa vuol dire essere generosi. Le ragazze vivono tutte insieme in una pseudo comune in un ranch, dove Russell è la guida o meglio il guru del gruppo e le droghe sono più abbondanti dei pasti che fanno. Vi ricorda niente? Dovrebbe, perché la traccia è quella della storia di Charles Manson e della strage di Bel Air, compiuta nell’agosto 1969 (ammetto però che quando l’ho comprato non avevo capito che trattasse di questo argomento), quando l’attrice Sharon Tate e numerosi suoi amici furono massacrati nella sua residenza di Hollywood.
Emma Cline riesce a descrivere le situazioni e le cose che passano per la testa della protagonista in un modo che ti sembra di essere lì e di essere quasi una sua amica. Se poi si pensa al fatto che ha solo 24 anni e questo è il suo primo libro, chissà cosa ci riserverà in futuro. L’altro lato della medaglia è che è trooooppo descrittiva, la protagonista mi stava antipatica e l’argomento comunque non fa per me. Detto ciò, è scritto bene, ma non lo ricomprerei.
Questo libro si adatta bene a 3 punti della disfida ma ancora non ho scelto quale
1 un libro comprato d’impulso
2 un libro scritto da un’autrice sotto i 30 anni
3 un libro che parla di un argomento scabroso
Mi sono dilungata troppo, la mia comunque vuole essere una riflessione e non una recensione, anche perché non ne ho mai scritte e non saprei da dove cominciare. Se qualcuno l’ha letto e ha idee diverse dalle mie mi interesserebbe conoscerle. Buona giornata!
Ps. Siate clementi è la mia prima volta.

Luciana Grillo