Arminuta – Donatella Di Pietrantonio #recensione

“Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. E’ un vuoto persistente, che conosco ma non supero”.

Consiglio assolutamente questo libro! Avevo già amato l’autrice nei romanzi precedenti (Bella Mia e Mia madre è un fiume, usciti per Elliot), ma con questo veramente ha fatto un salto linguistico e narrativo ed è in assoluto, secondo me, una delle scrittrici migliori della letteratura italiana contemporanea. Sempre in equilibrio tra dialetto abruzzese e italiano impeccabile, la Di Pietrantonio ci racconta la storia dell’Arminuta, la Ritornata: una ragazzina che, a 14 anni, scopre che coloro che l’hanno cresciuta non sono davvero i suoi genitori, e viene rimandata dalla sua famiglia d’origine. Dal litorale moderno (siamo negli anni 70) al paese dell’entroterra con regole arcaiche, e, per lei, oscure. Dallo status privilegiato di unica figlia alla promiscuità di spazi e sentimenti con una sorella e tre fratelli. Dalla madre di prima alla madre di poi, senza una spiegazione, fino alla fine del racconto.

“La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”.

Un romanzo ottimo, che entra dentro, scava, sgrida e consola; un tema pesantissimo, come il mondo che crolla sulle fragili spalle di un’adolescente, e scopre altri nervi scoperti, come le dinamiche familiari ambientate negli anni Settanta in un contesto rurale. Un Abruzzo arroccato nella asprezza dei propri abitanti, una terra arida, povera, con una pronunciata ambivalenza tra un pezzo di costa aperto al mare ed una montagna involuta, retrograda, intrisa di rituali secolari,  svuotata di spiritualità e tenerezza famigliare, immagini in bianco e nero di una nazione tra crescita e difficoltà, dove non tutti potevano permettersi una giornata in spiaggia ed un piatto di frutti di mare.

“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho imparato la resistenza. Ora ci somigliano di meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo.”

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Incidente notturno – Patrick Modiano #recensione #patrickmodiano

…tanti visi colti per un istante che brilleranno nella memoria con uno scintillio di stelle lontane per poi spegnersi il giorno della nostra morte senza aver rivelato il loro segreto.

Di notte, a Parigi, un giovane viene investito da un’auto (una Fiat color verde acqua) guidata da una giovane donna. L’investitrice lo soccorre e lo accompagna all’ospedale, forse assieme ad un compagno, un signore bruno, distinto… poi il risveglio in una clinica, odore di etere, ricordi confusi.
Il giovane, senza nome, con addosso qualche traccia delle ferite subite e un fascio di banconote lasciate dalla coppia assieme ad un verbale dell’incidente, inizia a girovagare per la città, senza un preciso obiettivo, con un’unica traccia del nome dell’investitrice, avvolto in una specie di nebbia emotiva e psicologica, accompagnato da frammenti di immagini, ricordi che affiorano, e l’odore di etere ereditato dal soggiorno in clinica e usato per dormire e lenire il dolore. In un clima da romanzo giallo, vaga per i quartieri di Parigi, ambienti colti in suggestive immagini preferibilmente notturne, come in un film d’Autore girato in bianco e nero. Nel vagabondaggio qualche squarcio della sua storia, di un padre poco amato, forse losco, una madre assente, una ragazza con cui per un certo periodo si accompagna e poi scompare improvvisamente e qualche indizio che gli fa affiorare il ricordo di un incidente simile avvenuto da un’altra parte quando era più piccolo e forse un incontro con la stessa persona che lo ha investito… Una storia breve, intensa e incalzante, la propria vita come un puzzle di cui non si riesce a venire a capo, i pezzi che non si incastrano, incontri misteriosi e incompiuti, sentimenti che galleggiano dentro senza mai affiorare definitivamente. Personaggi che sono ombre o di cui si intravvedono solo elementi parziali e non risolutivi per dare un senso compiuto alle relazioni avviate…
E poi alla fine l’incontro e il ritrovamento della donna e forse la possibilità che l’incidente diventi un destino.

Non ho letto molto di Modiano, conosciuto, soprattutto fuori dalla Francia, solo dopo aver vinto il Nobel 2014 e forse è uno degli autori per i quali vale più di tutto l’idea che un autore in fin dei conti scrive sempre lo stesso libro: per lui è la ricerca di una identità perduta, la necessità di risalire con fatica il filo delle proprie vicende, dei propri luoghi per dare un senso compiuto a quello che non sembra avere senso. Forse perfino ossessivo e ripetitivo nelle sue tematiche ma ricco di suggestione e capacità evocativa dello scorrere del tempo.

“Ma no, non ho nulla da nascondere… la vita è molto più semplice di quanto tu non creda”.

Renato Graziano