L’amore ai tempi del colera – Gabriel Garcia Marquez #GarcíaMárquez @librimondadori

colera

“Non si sentivano più fidanzati e tanto meno amanti tardivi. Era come se avessero saltato l’arduo calvario della vita coniugale, e fossero andati dritti all’essenza dell’amore. Passavano il tempo in silenzio come due vecchi sposi scottati dalla vita, al di là delle trappole della passione, al di là degli scherzi brutali delle illusioni e dei miraggi dei disinganni: al di là dell’amore. Perché avevano vissuto insieme quanto bastava per accorgersi che l’amore era l’amore in qualsiasi tempo e in qualsiasi parte, ma tanto più denso quanto più era vicino alla morte.”
Capolavoro di letteratura, capolavoro di vita. Il Maestro assoluto. Un potere senza pari di rendere una storia immortale, di farci innamorare di tutto, dei personaggi descritti psicologicamente in maniera perfetta, tanto da renderli vivi, dei villaggi, delle città che abitano e che attraversano, dei paesaggi incontaminati, tutto questo è vita che scorre come un fiume e nello stesso tempo come una enorme e lussureggiante foresta, trascinandoci al suo interno, gustando sapori, profumi, odori, sudore, colori, siamo dentro al romanzo, letteralmente, dalla prima all’ultima pagina. Descrizioni superbe.
Marquez è unico. Riesce a farti innamorare dei suoi personaggi. Il suo modo di scrivere è inimitabile, ricco, passionale, magico. Questa è la più bella storia d’amore mai raccontata. Passione, dolore, speranza, vita, che superano anche malattie e il diventare vecchi. Un uomo che ha avuto 622 donne, una donna che ha avuto un solo uomo, e Marquez ci spiega tutte le sfaccettature che l’amore può avere, ci fa sentire Florentino vicino a noi come pochi altri personaggi nella storia della letteratura mondiale. Nonostante le sue stranezze, i suoi errori, le sue innumerevoli avventure, sentiamo la sincerità della sua frase: “Mi sono conservato vergine per te”. E’ sincero. Le donne hanno solo svolto la funzione di colmare quel vuoto decennale, la sua anima è ancora pulita, vergine.
“ L’amore ha gli stessi sintomi del colera”: ti sconvolge con la febbre, ti fa delirare, ti porta ad agire in modo insensato. L’amore mai maturo, o troppo giovanile o troppo senile, affettuoso, pauroso della morte in agguato, c’è sempre da scoprire qualcosa. Vale sempre la pena di aspettare, per qualcosa in cui si crede ciecamente. Una volontà ferrea, indomita, un cuore che conserva un sentimento inattaccabile, un amore che è l’unica cosa per cui valga la pena vivere e l’unica cosa per cui valga la pena di morire. Una danza, un ballo lunghissimo, in cui ci si avvicina, ci si lascia, ci si guarda, ci si riprende, ci si riperde e alla fine ci si ritrova uniti in un invincibile contagio, senza scampo.
Quando c’è la motivazione giusta, è giusto non arrendersi mai, nemmeno dopo 53 anni, 9 mesi e 11 giorni, notti comprese. Un inno alla speranza, alla gioia di vivere, una sfida alla vita e alla morte.

“Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno
è esserci seduto accanto
e sapere che non l’avrai mai.”

“Le venivano in mente di continuo le tante domande quotidiane a cui solo lui avrebbe potuto rispondere.
Una volta lui le aveva detto una cosa che lei non riusciva a concepire: gli amputati sentono dolori, crampi, solletico, alla gamba che non hanno più.
Così si sentiva lei senza di lui, sentendolo là dove non c’era più.”

Musica: Chan Chan, Buena Vista Social Club
https://youtu.be/tnFfKbxIHD0

carlo mars

Sembrava una felicità – Jenny Offill @nneditore #JennyOffill

sembrava

 

NN Editore. Una casa editrice nuova, di cui mi sono segnato il nome, credo li seguirò spesso. Il loro sito è bellissimo, pieno di idee, e per me una delle migliori è senz’altro quella delle songbook, suggerimenti di brani da accompagnare ai romanzi, una goduria, davvero, almeno per me. (Stavolta nemmeno mi sforzo..)
Pubblicano stagioni, così le chiamano, e serie, non collane, come siamo abituati a leggere.
“Sembrava una felicità” fa parte della Stagione 2015. E’ un racconto molto breve, 157 pagine.
La trama è semplice, è la storia di una donna, narrata in prima persona, la sua vita, un prima, in cui è “la donna”, e un dopo, dove è madre e diventa “la moglie”, e lì si passa ad un’osservazione esterna, ed entra la terza persona.
La storia del passato, da single, del momento in cui si riconosce l’altro, quel magico momento, poi il matrimonio, il diventare genitori, l’improvvisa crepa, la ragnatela minuscola di crepe nel rapporto, il tradirsi e tutto quello che ne consegue.
Una donna che era convinta che il suo futuro fosse l’arte, che non comprendeva l’amore, lo aveva scartato dalla sua vita. E che invece si ritrova innamorata e moglie e madre, e inizia una storia del tutto diversa, inattesa, e dura, una competizione col mondo. E si rende conto di quanto un idillio matrimoniale si regga su finte fondamenta sicure, in realtà sono fili leggeri, e complessi:
“…ogni matrimonio ha i suoi difetti di fabbrica e anche quelli che da fuori sembrano equilibrati, sono tenuti insieme col chewing gum, il fil di ferro e lo spago.”
Si è convinti di poggiare su terreno solido e immutabile, e invece, improvvisamente, ci si può rendere conto che si camminava sull’orlo di un precipizio. E ci si chiede dove si è sbagliato.

“Più alta?
Più magra?
Più tranquilla?
Più facile – dice lui”

Ecco, il tradimento. Te ne dovevi accorgere. Come hai potuto non accorgertene? “Non c’è niente che mi abbia sorpreso di più in tutta la mia vita”. Questo libro/racconto/diario/flusso di coscienza è pieno di verità. Di durezza. Di ironia, anche di risate. Ma soprattutto verità.

“Di notte, stanno distesi a letto tenendosi per mano. A volte, mentre sono così, la moglie riesce a fare il dito medio al marito senza che lui se ne accorga.”

Tante verità. Si procede dal io e dal tu, nel momento dell’idillio, quando lui per lavoro registra i suoni della città da far sentire alla radio,
“Avevo imparato che non temevi il maltempo. Volevi sempre andare in giro per la città a registrare, con la pioggia, la nebbia o la neve. Mi ero comprata un cappotto più caldo. Con tante tasche comode in cui tu infilavi sempre le mani.”, al formalismo del moglie e marito, come fosse un percorso obbligato perdere la magia, perdere le stelle, il cielo, le farfalle nello stomaco, il sogno. E alla fine, dopo essersi feriti, tocca trovare il modo per andare avanti, provare a vedere se quei cristalli riescono a “guarire”, se quelle crepe possono essere rimediate.

Ma è lo stile del racconto, che fa la differenza. Dicesi sperimentale. E’ fatto tutto a blocchi, tagliato a pezzetti, in frammenti, in frasi, in pensieri, in inezie, minuzie, citazioni di ogni genere, aerospaziali e culturali, soprattutto, un miscuglio eterogeneo, un puzzle che all’inizio disorienta, ma è tutto studiato affinchè sia il lettore a rimettere tutto al suo posto, a creare i collegamenti. Ripeto, inizio spiazzante, ma poi scivola via che è una meraviglia. Dice che è così che funziona la memoria umana, del resto, a salti, avanti e indietro, lunghi e corti. L’autrice ha detto che durante la stesura correva in biblioteca a sfogliare qualsiasi cosa per trovare ispirazione, per inserire quei pensieri e quelle citazioni. Ed una corsa ho fatto io, per leggerlo, in due ore. Bellissimo, per me è stato bellissimo, davvero. Un libro che di certo mi troverò a riaprire, periodicamente.

Musica: Naked As We Came, Iron & Wine
https://youtu.be/lp8mXk4UvXM

carlo mars

DESCRIZIONE

Libro dell’anno 2014, il romanzo di Jenny Offill è da leggere tutto d’un fiato, perché è impossibile fermarsi. Ma è un libro a cui pensare a lungo, perché è impossibile restarne estranei. È un testo misterioso e universale insieme, che parla in maniera intelligente della vita di tutti noi. Di sicuro, parla a tutti quelli che leggono di notte, che amano la vita, che cercano un amore, che vogliono – soprattutto – la felicità.